Teramo - L’Associazione socio-culturale “Ambiente & Sicurezza Città di Teramo”, presidetuta dall’avvocato Antonella D’Angelo Gallo, ha presentato due ricorsi amministrativi riguardanti il progetto di realizzazione di un impianto di biodigestione dei rifiuti urbani in Contrada Carapollo. l’Associazione “Ambiente e Sicurezza Città di Teramo”, ritiene l’area di Carapollo non idonea e da qui è nato uno scontro con l’amministrazione comunale e in particolare con il primo cittadino Gianguido D’Alberto. In riferimento al progetto per la realizzazione del biodigestore dei rifiuti urbani della capacità di 40.000 tonnellate annue proposto dalla Teramo Ambiente in Contrada Carapollo, l’associazione, spiega D’Angelo Gallo «ha intrapreso azioni legali e istituzionali per tutelare il territorio teramano da interventi che ritiene potenzialmente dannosi per l’ambiente e la sicurezza della comunità, precisando di non essere sfavorevole in linea generale alla realizzazione dell’opera, ma ritenendo del tutto inidonea la localizzazione dell’impianto nel sito prescelto. I ricorsi presentati al TAR Abruzzo e al TAR Lazio, si basano su una serie di criticità ambientali, paesaggistiche e di sicurezza non adeguatamente valutate dalla Regione Abruzzo in sede di Verifica di Assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale. Presso il TAR Abruzzo è pendente il ricorso contro la delibera della Giunta municipale con la quale è stata modificata la perimetrazione del centro abitato di Villa Pavone, restringendolo artificiosamente, allo scopo di far apparire conforme la distanza dell’impianto ai 500 metri (invece dei circa 250 reali) imposta dai criteri localizzativi escludenti dettati dal Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti, i quali rappresentano parametri invalicabili posti dal legislatore a tutela dei cittadini da potenziali pericoli e molestie, e che invece adesso, disinvoltamente aggirati con la suddetta delibera, costringeranno centinaia di ignari residenti di quel quartiere a convivere, senza il rispetto degli standard minimi di sicurezza, con un impianto che produce gas altamente infiammabili ed esplosivi in una zona soggetta a frequenti incendi. La delibera, apparentemente motivata dalla necessità di ridefinire meglio il centro abitato a fronte di un aumento della popolazione e dell’edificato, si traduce paradossalmente in una riduzione del perimetro. Questa scelta contraddice le premesse dichiarate, destando giustificate preoccupazioni, in quanto il requisito della distanza dei 500 metri rappresenta un vincolo di sicurezza per la popolazione residente, data la particolare tipologia di impianto. Presso il TAR Lazio, invece, è pendente il ricorso relativo alla mancata assoggettabilità a VIA del progetto da parte del Comitato VIA della Regione Abruzzo, contestata in quanto la procedura di verifica adottata è omissiva, superficiale e carente, rispetto all’obbligo di una Valutazione di Impatto Ambientale completa, considerati i rischi e gli impatti rilevanti derivanti dallo stato di contaminazione dei luoghi oggetto di intervento, in quanto la mancata conclusione del Piano di Caratterizzazione ambientale del sito, volto a determinare l’eventuale inquinamento del suolo derivante dalle passate attività dell’ex inceneritore, lascia aperte importanti questioni sulla qualità dell’area, e di fatto priva la pubblica opinione di un fondamentale strumento di verifica della procedura in atto, e soprattutto della necessità di un’analisi più approfondita dell’intervento e dei suoi effetti. La localizzazione dell’impianto rappresenta una evidente forzatura, a causa della presenza di numerose criticità di carattere ambientale e normativo che l’Associazione ha dettagliatamente evidenziato agli organi competenti». Di qui il braccio di ferro con il sindaco D’Alberto che ha definito le prese di posizione dell’Associazione «assurde e ridicole».