La canzone cosiddetta “liquida” inizia a diffondersi per prima in Italia già il 23 agosto del 1978 a Lido di Camaiore, cioè da quando Mina fece il suo ultimo concerto dal vivo; vale a dire quando per l’ultima volta si concesse al suo pubblico. Non ho mai condiviso questa sua (come di altri) scelta: non stimo l’artista che si sottrae al suo pubblico, però, continua a produrre, come ha fatto Mina. Lo trovo irrispettoso, elitario, odioso. Lei, invero, non ha mai amato esibirsi dal vivo, ma un cantante che si esprime solo in sala di registrazione è manchevole; è gravemente manchevole. La canzone è spettacolo, quindi un’arte che trova la sua forma più alta e piena solo nel concerto dal vivo, dal vivere del cantante e del suo pubblico insieme.
Tanto guardo con sospetto questo fare di taluni artisti, che fatico ad ascoltarli: Come, vuoi i miei soldi per il tuo disco (almeno fino a quando i dischi si vendevano e più di ogni altro supporto culturale), però, ti neghi al pubblico?, mi domando sempre in questi casi. Tanto mi insospettisco che penso che non siano neanche più loro a cantare, perché è da un pezzo che in sala di registrazione non si esegue più un brano per intero, dall’inizio alla fine, ma ci si produce in un taglia e cuci digitale che, in post produzione, rimette insieme le strofe uscite meglio, addirittura le frasi musicali, perfino i singoli versi appiccicano uno all’altro per riuscire a fare, alla fine, una intera canzone, protetti dal segreto violabile e ormai violato della sala di registrazione. E tutto questo accade almeno dall’avvento del Compact Disc a oggi, vale a dire, commercialmente, dalla prima metà degli anni ‘80 – basti pensare che il primo CD di musica leggera entrato in commercio fu 52nd Street di Billy Joel (1° ottobre 1982, in Giappone, commercializzato insieme al nuovissimo lettore della Sony, che costava circa 2.000.000 di lire, che oggi equivarrebbero a quasi 4.000 euro); mentre il primo CD a superare il milione di copie vendute fu Brothers in Arms dei Dire Straits (1985). Dati che raccontano un mondo musicale oramai preistorico – rimarrebbe la riscoperta nicchia/urna del vinile, che avrebbe un senso se poi gli stessi brani non fossero disponibili, contemporaneamente e gratuitamente, sul web.
Quindi di Mina ho sempre sospettato la tenuta della sua voce dopo così tanti anni di cantato e di canzoni; e oggi di più ne sospetto la “naturale” rivisitazione digitale, considerati i sui 84 anni di vita. Difatti ascoltando questo suo ultimo disco, Gassa d’amante (che richiama un nodo a occhiello della tradizione marinaresca, non scorsoio e che si scioglie facilmente, metafora che vorrebbe forse cogliere il tema dell’atroce femminicidio e della mancanza di educazione sentimentale del maschio, che è invece difficile a sciogliere i suoi legami d’amore quando non è più amore; e dalla tradizione nautica arriva anche la copertina del disco, che propone il volto iconico di Mina, come la memoria ce lo rimanda, a guisa di polena di un maestoso, bronzeo veliero – l’elemento acqua è ricorrente nelle tracce di questo album tutto di inediti), tutto dedicato alla canzone d’amore, organico sì ma piatto (gli arrangiamenti, stilisticamente datati, che sembrano campionature degli anni ‘90, non certo aiutano a darsi in altra cosa dal già cantato e sentito; e non aiutano neppure i testi a risollevare l’opera, zeppi di metafore flosce, sempre in bilico sul crinale del banale: del resto non a caso si disse che è la rima fiore amore, la più antica difficile del mondo), ritrovi la Mina che sempre ti aspetti uscire dal suo chiuso mondo chiuso, piena della sua fredda perfezione per mancanza di emozione, di quella emozione dell’errore che solo un pubblico vivo di fronte alla realtà del cantare può offrire.
Ma la cosa più interessante da osservare dalla uscita di questo suo 74° album in studio, è che pare che Mina dedichi, sempre dal suo chiuso mondo chiuso, almeno due ore della sua giornata ad ascoltare i brani che le propongono di interpretare, di autori già affermati ma anche no (provate qui: PDU Music&Production SA, Via Ciani 13, 6900 - Lugano, Svizzera, contatti@pduproductions.com). Difatti in questo ultimo lavoro troviamo i brani di ben due “signor Nessuno” della musica italiana scollinati in qualche modo oltr’alpe. E sono Roberto Casu con Per dirti t’amo e Antonino Luca Tudisca con Amami e basta – è interessante registrare, tra i noti, la presenza di Alberto Anelli, autore della musica dell’indimenticabile perché lasciva L’importante è finire (1975), mentre il testo è di Cristiano Malgioglio; Anelli che qui firma la musica di È cosi che funziona, su testo educatissimo di Alberto De Martini. Il pezzo che apre il disco, Non smetto di aspettarti, invece è di Fabio Concato. Poi ci sono pure i brani di Elisa, Senza farmi male, e Francesco Gabbani, Buttalo via. Mentre L’amore vero è il tema principale dell’ultimo film di Ferzan Özpetek, Diamanti, in uscita il 19 dicembre.
Ma accadono tre cose molto significative in questo disco, dove a un certo punto la voce (usate le cuffie o gli auricolari), grazie a Dio, le si arrochisce, invecchia d’un colpo, come in Per dirti t’amo, Il cuore si sbaglia e, soprattutto, in Non ti lascerò, che chiude l’album, quando si arrende al recitativo (peccato per quella chitarra elettrica alla Carlos Santana, che ci sta bene come un bel cavolo sul tavolo della merenda) riuscendo così nell’interpretazione migliore dell’album: non perdetevelo questo momento – scoprirete come è bello e vivo l’errore, perché ci dona la possibilità di migliorare. Ed è qui che Mina salva e giustifica l’intera pubblicazione.
Quindi c’è speranza perché Mina esista.
MASSIMO RIDOLFI