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CINEMA: AL JOLSON


Cultura  | 10 January 2024

Ernest Hemingway racconta (da I falchi non dividono, in Festa mobile, edizione restaurata, 1964/2009, Mondadori, 2011, p. 125) che si rese conto che Zelda Fitzgerald era totalmente pazza quando un giorno si chinò verso di lui e gli disse: “Ernest, non pensi che Al Jolson sia più grande di Gesù?” come a confidargli il suo più grande pensiero segreto, che non si era mai azzardata a rivelare a nessuno. Da qui al sanatorio, per lei, il passo fu più breve di quello che si potrebbe immaginare. Fu niente poco di meno che Eugen Bleuler a diagnosticarle di essere affetta da schizofrenia, luminare e uno dei padri della moderna psichiatria: schizofrenia e autismo sono definizioni della psicopatologia coniate proprio dallo studioso svizzero.

Zelda morì ad Asheville, Carolina del Nord, il 10 marzo 1948 nell’incendio che distrusse la clinica dove era ricoverata dal 1936, all’età di 47 anni; lei che nel ‘29 aveva rifiutato un ruolo da protagonista nel corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, riconoscimento raggiunto contro tutto e tutti, compreso il suo amatissimo Scott.

Ma chi era questo Al Jolson, che Zelda riteneva essere addirittura più grande di Gesù, Cristo con il quale lei sosteneva di essere in contatto diretto, così come con Apollo, Guglielmo il Conquistatore e molti altri?

Al Jolson (Asa Yoelson) è stato la prima star della storia della musica, è stato un cantante jazz dell’epoca d’oro, un crooner, il primo crooner, anche se il suo modo di cantare era più vicino ai melodici italiani che, dall’opera, si affacciavano alla canzone, come il recanatese Beniamino Gigli, tanto per fare un nome: Al Jolson è stato il primo cantante ad arrivare a vendere 10 milioni di dischi.

Bianco. Dalla fronte altissima. Il faccione lungo, equino. Lituano. Emigrato. Famoso per le sue esibizioni con il volto dipinto di nero (trucco teatrale diffuso in Occidente già nell’800, il cosiddetto blackface, che potremmo tradurre in faccetta nera), a farsesca imitazione degli originali interpreti afroamericani che, però, favorì la diffusione della musica jazz tra i bianchi, che altrimenti difficilmente l’avrebbero ascoltata: Jolson si batté a suo modo contro la discriminazione razziale con la sua particolare maniera di interpretare il discusso trucco blackface.

Tanta popolarità convinse nel ‘27 la Warner Bros. a ingaggiarlo per averlo come protagonista del primo film sonoro della storia del cinema, Il cantante di jazz (liberamente disponibile su YouTube).

Il soggetto e la sceneggiatura del film furono modellati sulla biografia di Jolson perché il film racconta di un giovane figlio di un rabbino newyorchese che il padre vorrebbe cantore di sinagoga, continuando così la tradizione di famiglia, non condividendo affatto le velleità artistiche del figlio, che a suo dire macchierebbero l’onore della casa. Difatti Jolson era figlio del rabbino del kibbutz di Seredžius in Lituania, Moses Rubin Yoelson, che iniziò davvero il figlio al canto sacro. Ma lo stesso Moses nel 1890 decise di emigrare negli Stati Uniti d’America in cerca di un futuro migliore per sé e la sua famiglia, dove la moglie e i figli lo raggiunsero solo nel 1894.

La realtà formativa di Jolson non raggiunse quindi i toni melodrammatici del film, e nessun ripudio ricevette dal padre. Ma il cinema all’epoca era ancora dentro l’enfasi del muto perché, in realtà, il primo film sonoro della storia aggiungeva alla pellicola solo le canzoni cantate da Jolson in presa diretta durante le riprese e fermate sugli acetati dai quali sarebbero stati stampati i vinili che poi avrebbero accompagnato la proiezione del film nelle sale. Quindi non ci sono da aspettarsi dialoghi (ci sono appena quelli di introduzione al pezzo) o rumori d’ambiente e, tanto meno, la rinuncia alle didascalie, ancora necessarie per la comprensione del film.

Insomma, nel primo film sonoro della storia, sostanzialmente un musicarello ante litteram, a parlare, anzi a cantare era solo Al Jolson, un ebreo lituano più grande di Gesù.

MASSIMO RIDOLFI  

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