Solo due fatti dell’arte hanno davvero cambiato il mondo, l’invenzione del Rock ‘n’ Roll (Elvis Presley, Memphis, Tennessee, 5 luglio 1954) e la pubblicazione di On the Road (Jack Kerouac, New York City, 5 settembre 1957), e per il semplice fatto di aver intercettato, il primo, i desideri (quelli veri) della gioventù e il suo proprio movimento, e il secondo per aver fatto scoprire all’umanità che esiste il viaggio e che si può viaggiare e non essere per forza migranti o, peggio ancora, militari in marcia verso il nemico.
Prima di On the Road, il viaggio era sempre legato alla migrazione economica e mai alla conoscenza piacevole della vita anche se con quattro soldi in tasca; prima del Rock ‘n’ Roll, la musica era solo una questione da poltrona borghese per bianchi stanchi e imbolsiti – mi ha sempre sorpreso (e ci penso spesso) che Jack Kerouac non abbia intuito la rivoluzione vera del Rock ‘n’ Roll, che suo malgrado ha alimentato negli anni ‘60 e ‘70: basti pensare a Bob Dylan e alla psichedelia, e al Movimento Hippie, che lui considerava quei ragazzi molto migliori della sua Generazione perché più felici. Ma del resto nel luglio del ‘54 Kerouac aveva già una generazione davanti a lui, e le generazioni non comunicano, grazie a Dio: grazie a Dio, non si ascoltano mai i padri.
Francis Ford Coppola appena ha avuto due spicci da investire come produttore, ha subito acquisito i diritti cinematografici di On the Road e li ha lasciati per decenni dentro un cassetto perché ha un tale amore per questo libro che temeva al cinema di sciuparlo. Allora il grande regista di origini lucane nel 2012 molla l’osso e ne affida la regia al brasiliano Walter Sellers, esperto ma sicuramente non tra i più noti, che in vero nel 1998 con il suo Central do Brasil si presentò al grande mondo del cinema con un Orso d’oro, un Golden Globe e la successiva candidatura agli Oscar come miglior film straniero, e anche un BAFTA nella stessa categoria riportò a casa. Ma la vera notorietà per lui arriva nel 2004 con la regia de I diari della motocicletta, con il quale bissa il BAFTA e Jorge Drexler si aggiudica l’Oscar per la migliore canzone, Al otro lado del Río.
Lo stile del film (reperibile in lingua originale su YouTube) è quello del grande cinema indipendente americano, difatti il casting non cerca grandi nomi, pur impreziosito dai cammei di Viggo Mortensen (Old Bull Lee / William S. Burroughs), Steve Buscemi (il commesso viaggiatore con il quale si prostituisce in una stanza di motel Dean Moriarty / Neal Cassady, interpretato da Garrett Hedlund) e Kirsten Dunst (Camille / Carolyn Cassady, moglie di Neal e amante di Jack Kerouac). È Tom Sturridge invece a interpretare Carlo Marx / Allen Ginseng. Mentre a Sam Riley è affidato il ruolo di Sal Paradise / Jack Kerouac. Chiude il quartetto dei protagonisti principali Kristen Stewart, alla quale è data la parte di Marylou / LuAnne Henderson, la prima moglie di Neal, che sposò quando lei aveva solo sedici anni, che segue direttamente le avventure del marito e di Jack, scambiandosi corpi e anime. La Stewart è l’unica starlet del quartetto protagonista perché quando è scritturata per il film ha già raggiunto la fama mondiale interpretato il ruolo di Bella Swan in Twilight (2008-2012) – ma era già apparsa accanto a Jodie Foster in Panic Room (2002) e davanti alla macchina da presa di Sean Penn in Into the Wild (2007).
Sellers insomma mette insieme una buona squadra di giovani attori e, con qualche iniezione di esperienza, tutto muove bene davanti alla sua macchina da presa. La verosimiglianza dei personaggi di tutto il film è davvero incredibile. Sellers, intelligentemente, segue linearmente le vicende raccontate nel romanzo e riesce così a ridarci le immagini e le sensazioni che dal 1947 al 1950 portarono Jack Kerouac a girare tra Stati Uniti e Messico, con pochi spiccioli in tasca ma decine di taccuini da riempire di volti e di storie di quell’America che incontrava, tra fango e polvere, tra deserto e neve. Tra miseria e miseria.
In questo film del 2012, passato in sordina, Walter Sellers riesce pienamente nell’impresa di rendere in immagini l’unico libro che ha davvero cambiato il mondo perché ha insegnato un modo tutto nuovo di interpretare il viaggio – e senza sciuparlo, il libro.
MASSIMO RIDOLFI