Teramo - Cristiana Castelli ha illuminato domenica sera il palco del Piccolo teatro Valerio Casadio con "E il raccontar m'è dolce", spettacolo nato da un testo di Lucillio Santoni sulle tracce di Oscar Wilde, il cui titolo sarebbe piaciuto tanto anche a Leopardi, goloso com'era. Perché, di fatto, lo spettacolo trae spunto proprio dalla preparazione dei "baci di sirena", amaretti ripieni di ricotta che il pubblico è chiamato a gustare a fine spettacolo, trascinato dalla forza dell' interprete che, con colpo di genio, non attende neppure che gli ultimi spettatori siano entrati per iniziare a parlare con chi è già seduto, elencando gli ingredienti utili a preparare i biscotti. Si ha così l'impressione, non di una preapertura ben studiata, ma di essere catapultati nella cucina di Cristiana Castelli che dialoga col pubblico favorendo una rottura della quarta parete che avrebbe fatto impazzire di gioia Stanislavskij, al punto che ci si accorge che lo spettacolo è iniziato solo quando si spengono le luci di Sala. In un' osmosi difficilissima, con il corpo che fa una cosa e la mente che racconta altro, Cristiana Castelli evoca il ricordo del miglior Amedeo Fago e della sua idea di teatro come qui ed ora, mentre il sapore che si spande nel teatro, insieme ad una capacità unica e ammaliatrice di raccontare, la fanno un po' simile alla magica cioccolataia di Joanne Harris. Il testo di Santoni si presta perfettamente alla scena e verrebbe davvero da dire che alla fine del racconto si intuisce quanto si abbia bisogno ancora e sempre di favole buone e che, se c'è una grande verità che questo spettacolo racconta, è proprio quella che per avere un'anima bisogna avere il coraggio di "dannarsela". Quando lo spettacolo finisce, nel rituale di condivisione che si crea con l'assaggio dei biscotti, si sente viva la sensazione di essere parte di un nuovo gruppo sociale che non ha solo ascoltato una favola, ma ha vissuto un momento unico che ricorda il vero senso del teatro: la socialità condivisa della polis. Cristiana mostra come si possa essere io narrante ed io narrato (e anche cuoca) con una maestria, una sensibilità ed una forza che si addice solo ai grandi interpreti al punto che (e senza nulla togliere al testo poetico) se domani volesse favorirci il menù del giorno, alla Gassman, saremmo pronti a seguirla, ugualmente rapiti.