L'altro giorno rileggevo un vecchio articolo di Martin Amis per The Guardian del 16-17 marzo 2001 che titolava A rough trade, poi ripreso in traduzione da Internazionale il 2 agosto 2002 che lo rititolava Dentro il porno (The Guardian: https://bit.ly/3qbbjey; Internazionale: https://bit.ly/3MZMmM0), pezzo dove l'autore inglese racconta di una sua incursione nel mondo della pornografia californiana. La cosa che più mi ha colpito di questo articolo, scritto nel pieno stile del New Journalism, cioè quel modo tutto americano di raccontare le cose per esperienza diretta sospendendo il dettato tra racconto e saggio affinché non ci si fermi alla mera cronaca – A sangue freddo (1966) di Truman Capote ne rappresenta il primo e più riuscito esempio di questa forma letteraria, negli ultimi anni tornata in voga con le opere di Emmanuel Carrère: qui da noi ci ha provato solo nel 2020 Nicola Lagioia con La città dei vivi, che, a proposito di pornografia, riporta la vicenda, ex post facto, del terribile assassinio di Luca Varani, accaduto a Roma nel 2016 –, non è stata certo il racconto dell'interno squallido del mondo del porno, quanto invece ciò che scrive Amis nel 2001 alla fine del suo pezzo: “Il porno non potrà mai diventare una realtà comunemente accettata, anche a causa della sua natura controversa. Perché il porno diventi una realtà comunemente accettata prima dovrebbero cambiare gli esseri umani.”
Il controverso scrittore inglese, che però ha vissuto gran parte della sua vita negli Stati Uniti, dove è morto lo scorso 19 maggio per un tumore all'esofago all'età di 73, quando scrisse questo suo pezzo non poteva prevedere quanto sarebbe avvenuto sei, sette anni più tardi con l'avvento sul web delle prime piattaforme pornografiche gratuite, che hanno, in un sol colpo, messo in crisi la disgraziata ma allora ricchissima industria del porno e sdoganato la visione, prima clandestina, dei cosiddetti filmetti a luci rosse.
Il mondo, soprattutto maschile e occidentale, che prima vergognosamente si infilava nei bui stanzini laterali delle ormai defunte videoteche, oggi, liberamente (e insieme al mondo femminile), può godere di milioni di filmetti a luci rosse senza rossori, senza neanche mettere piede fuori di casa: ricordo le pruriginose ospitate di Cicciolina o di Moana Pozzi in tv tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, osservate come creature misteriose, di mondi misteriosi, a cui davvero in pochi rispetto a ora accedevano, e dal vivo solo in costosissimi eppure squallidi night club di costa.
Con il tempo addirittura le produzioni professionali hanno lasciato il passo a quelle private, amatoriali, dove tutti possono esporre le proprie pratiche sessuali, anche le più inconfessabili, anche a viso scoperto, e con orgoglio atletico, a imitazione dei sorpassati, detronizzati, doppiati divi del porno, tutto dentro un distorto, delirante diritto alla libera espressione pubblica della propria sessualità.
Così il porno, in poco tempo, è diventato una realtà comunemente accettata, a differenza di quello che scriveva Amis in quel suo articolo.
Quindi non sorprende affatto vedere oggigiorno gente comunissima, uomini e donne, pubblicare sui propri profili social foto dove si indossa una T-shirt Pornhub o altro merchandising pornografico.
Ma per comprendere esattamente quanto si sbagliasse Amis nella sua previsione, basta ascoltare parlare la gente, uomini e donne, che oramai usa con libertà la nomenclatura pornografica, quella che definisce con maniacale precisione le categorie del porno, cioè il contenuto dei video, dei contributi video professionali o privati, amatoriali, caricati e disponibili sui portali web dedicati, ovviamente, in assoluto i più visitati sulla rete.
Insomma, il porno non solo è stato comunemente accettato, ma è addirittura diventato di senso comune, fino a incidere nel linguaggio quotidiano, esposto.
Il termine della nomenclatura pornografica che più ricorre tra la gente, uomini e donne, è MILF – acronimo che qui non è conveniente sciogliere e tradurre.
Tant’è che un giorno mi trovo a parlare con un paio di amici – uno di questi molto più grande di me e dell’altro, e con lui c'era pure la moglie – e a un certo punto esce fuori il termine MILF, e questo amico più grande ribatte, con la moglie vicino: "Io ormai sono più sulla GILF." – acronimo anche questo che qui non è conveniente sciogliere e tradurre, ma si può affermare che nel porno oramai c'è tempo e spazio per tutti, con conseguente allungamento delle carriere, che per le donne difficilmente prima proseguivano dopo i trent'anni e raramente superavano i quaranta, e non è affatto mutato l'essere umano.
Ecco, quel giorno ho avuto la esatta percezione che la pornografia nella cattolicissima Italia era irrimediabilmente entrata nelle case degli italiani grazie al web, fino ad arricchirne la lingua e il linguaggio – è sempre un arricchimento la conoscenza di un nuovo lemma e il suo utilizzo, anche di quello più negativo –, e che il sesso si era finalmente, naturalmente affrancato dal mero agire a fini riproduttivi, diventando addirittura una questione di pubblico dominio perché di certa nomenclatura se ne riconoscono i codici solo se si guarda film porno in rete.
Allora si può dire che Amis non fu molto esatto improvvisandosi a profeta della rigida morale – in questi giorni di coccodrilli in tanti hanno scritto, scopiazzando un po’ a destra e un po’ a sinistra, che Martin Amis era molto amico del grande poeta inglese Philip Larkin (tra l'altro antesignano dell'allora ancora privatissimo interno pornografico con i suoi segretissimi scatti in Rolleiflex, che tanto, prima e soprattutto dopo la sua morte, avvenuta il 2 dicembre 1985, hanno interessato i critici a lui nemici per infangarne la memoria e così l'opera, ma che lui si assicurò sul letto di morte che venissero distrutti insieme ai suoi 30 volumi diaristici, e così fu fatto), che in realtà era prima di tutto amico di suo padre Kingsley, suo coetaneo: erano entrambi del '22, e si incontrarono al St. John College dell'Università di Oxford nel ‘40, a un passo dalla guerra, che Kingsley affrontò come addetto alle comunicazioni mentre Philip la scansò per la sua grave miopia; ma il poeta frequentava poco anche Kingsley, figurarsi il figlio, ritirato com’era nel suo mondo di bibliotecario dell'Università di Hull; e Martin ha in comune con lui solo la causa della morte, cioè il tumore all'esofago –, che a fine articolo scrive anche, a salvamento di una Maddalena della California: "No, Chloe, tu non sei una prostituta, non proprio. La prostituzione è la professione più antica. Il porno è la più moderna. Sembri piuttosto un gladiatore, un gladiatore contemporaneo. Naturalmente i gladiatori erano schiavi, ma alcuni di loro si conquistarono la libertà. E tu, credo, ti conquisterai la tua."
Io ora non so che fine abbia fatto questa Chloe, in quale anfiteatro abbia lottato per riscattare la propria libertà, ma in vita mia, una volta, dentro l'inizio di quegli anni '90 di cui dicevo, ho incontrato, conosciuto una pornostar: aveva 22, 23 anni, bella, atletica, curata nell'aspetto, gentile, capace di un buon eloquio, pure lei capitata lì da chissaddove; seppi che era belga e che non aveva gladio o altro arnese del gladiatore, di uno Spartacus improvvisatosi in gonnella, e forse era caduta lì da chissaddove proprio per non combattere; ma, più di tutto, di lei ricordo la tristezza.
Ben arrivati allora nella buonista Buona Società del Porno, dove oggi, ho controllato, potete trovare Moana di Marco Giusti (Mondadori 2004) nelle librerie antiquarie a non meno di 70 euro – che ho ritrovato or ora, mentre scrivo, nella mia libreria, che stava lì da quel 2004 arrivato da chissaddove, un libretto che dalle pieghe rimaste sul dorso e intorno alla copertina, ho sicuramente letto, e rivisto più di una volta, osservando quella creatura misteriosa di un mondo allora ancora misterioso: si vende, ma solo al migliore offerente.
MASSIMO RIDOLFI