Teramo - L’amministrazione comunale di Teramo chiude la stagione estiva con quello che sembra essere un goffo gioco di prestigio in cui si cerca di mascherare l’insoddisfacente gestione dei movimenti culturali della città. Si sperava forse di soffiare un pugno di fumo negli occhi dei cittadini, e che tanto bastasse a nascondere la progressiva desertificazione turistica che li circonda. Antitesi delle illusioni è però l’analisi lucida della realtà dei fatti, un contesto spesso difficile da rintracciare nelle recenti notizie celebrative.
Escludendo possibili fraintendimenti, accogliamo con genuina contentezza l'iniziativa delle due aperture straordinarie del Mosaico del Leone. Tuttavia, l'aggettivo "straordinario" suona quanto meno ironico: due soli giorni di apertura, a stagione ormai terminata, con un orario ristretto dalle 16:00 alle 20:00 e con soli due giorni di preavviso. Una finestra temporale che attrarrà forse pochi curiosi locali, essendo tanto ridotta quanto la possibilità che un visitatore settembrino si trovi nei paraggi nello scarno frangente.
La scelta di adottare un approccio così limitato riflette la mancanza di una vera visione strategica, sostituita da un'azione di facciata volta più a placare le coscienze che a portare risultati concreti. Questo atteggiamento di esaltazione del vuoto era già emerso dalla presentazione dei risultati dell'Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica (IAT), che, a due mesi dall'apertura, annuncia orgogliosamente i suoi 1.520 ingressi. Ma possiamo davvero essere soddisfatti di aver informato 1.520 turisti su di una città che, in termini di attrattive culturali, vede tutto pressoché chiuso? E ben venga la proposta di un tour virtuale, ma rischia di diventare a dir poco disincentivante quando rappresenta l'unica opzione per chi ha viaggiato con l'intento di visitare la città di persona, salvo poi scoprire che i suoi spazi culturali sono inaccessibili a causa di interminabili lavori di riqualificazione. L’unica consolazione rimasta è una visita – reale - alle chiese cittadine, che però, va ricordato, non sono di proprietà comunale.
E se quindi non si può parlare di strategia, intesa come un piano d’azione a lungo termine per perseguire un obiettivo concreto, si dovrà allora parlare di specchietto per le allodole, salvo restando che ormai le allodole sono stanche e provate dai maldestri tentativi di questa amministrazione di nascondere la crisi dei nostri centri culturali. E resuscitarli per una manciata di ore all’anno risulta essere, metaforicamente, una pezza colorata su di una ferita profonda: il problema resta, e si aggrava con il tempo.
Perché così facendo quello che manca, più di tutto, è il rispetto: rispetto per l’intelligenza dei teramani, che, passeggiando per il centro cittadino, vedono con i loro occhi il vuoto che li circonda; rispetto per i nostri luoghi, chiusi con una chiave gettata poi nel pozzo dell’indifferenza; e, infine, rispetto per la nostra storia che quest’anno ha mancato 1.520 occasioni di essere raccontata e vissuta da occhi stranieri perché eternamente parcheggiata nel Museo Civico Archeologico “F. Savini”, nel sito archeologico di Largo Sant’Anna, nell’Anfiteatro Romano, nel sito archeologico di Largo Madonna delle Grazie, nel Castello della Monica…