In questi intensi giorni editoriali, sospeso tra poesia e prosa e fatti quotidiani, ho riallungato la mia mano destra verso le cinquanta paginette del Manifesto del partito comunista di Engels e Marx e altri del 1848, ultimamente tornato molto in voga, per farne un saggio critico da inserire in coda a un mio prossimo libretto dal titolo TEATRO e POLITICA / ERWIN PISCATOR.
Il libretto conterrà, insieme al saggio sul teatro di Erwin Piscator, anche una critica al Galileo di Bertolt Brecht, già disponibile in rete – perché ho sempre sostenuto che ha fatto più Brecht per il marxismo quindi per le classi oppresse che lo stesso Karl Marx: è stato l’immenso genio del poeta tedesco la più grande mente del socialismo – il comunismo marxista non è altro che una interpretazione strutturale del socialismo, che a sua volta teorizza il superamento dell’eterno sistema capitalistico, da sempre l’unico praticato nel mondo, da Oriente a Occidente, tanto da pensare davvero che non sia possibile altra modalità regolatrice dei rapporti economici, vale a dire quei principi che determinano le nostre vite, in tutto e per tutto. I sedicenti comunisti occidentali, il comunismo è una invenzione del libero Occidente per l’Occidente borghese, sia chiaro!, e certamente non avrebbe potuto trovare diritto di nascita nei Soviet riunitisi a Pietrogrado (San Pietroburgo) nel 1917, dovrebbero studiare l’opera del poeta di Augusta più che quella di Marx per capire, comprendere la vera anima del socialismo – sì, anche il socialista ha un’anima.
Ma l’artista che ha saputo meglio di chiunque altro porre una critica costruttiva al comunismo e in quella che era la sua forma più iconica, vale a dire quella sovietica bolscevica, è addirittura un cantautore (tanto disprezzati dai poeti italiani, quelli che non riescono a capire che Bob Dylan è il più grande tra i poeti anche se scrive testi per canzoni), Giovanni Lindo Ferretti. Ferretti nel 1997, già CSI, scrive Unità di produzione (musiche di Massimo Zamboni e Gianni Maroccolo), prima traccia del 33 giri Tabula rasa elettrificata, terzo (ma in realtà ultimo) disco della formazione che prosegui il discorso interrotto dai CCCP.
Bene: il testo di Ferretti non è altro che, ad ascoltarlo bene, una dura critica del modello economico sovietico (“Delirio onnipotente / Dominio che sovrasta / Efficienza d’inetto / Burocratica casta / Potenza del pesante / Preme / Compatta / Schiaccia”) che, applicando realmente il Manifesto del partito comunista, riduce l’uomo a un “Sogno Tecnologico Bolscevico / Atea Mistica Meccanica / Macchina Automatica - no anima / Macchina Automatica - no anima”. Pezzo geniale che prova tutta la potente sintesi di cui è capace solo la canzone d’autore, in più spinta dal ritmo trascinante, irresistibile, davvero rivoluzionario del Rock ‘n’ Roll.
Bene, da par mio, ho trovato di nuovo quelle cinquanta paginette degne del più becero populismo e non certo di grandi filosofi della politica sociale, parole che non stupirebbero nessuno se oggi le sentissimo pronunciare dalle bocche guaste di razzismo dei nostri attuali governanti e traghettatori di sparuti animali migrantori di specie umana (10 bengalesi e 6 egiziani, quando il Bangladesh è lì lì per cadere sotto una dittatura militare, mentre l’Egitto lo è sempre stato una dittatura militare) verso le ricche terre di Albania, come irresoluti neocolonialisti: il totalitarismo è sempre fascista, inevitabilmente.
Bisogna ben riguardarsi dalle tante facce del fascismo, vestito di nero e di rosso, indistintamente.
MASSIMO RIDOLFI