Agostino Chigi, mecenate senese, lo scrive in una lettera del 7 novembre 1500 che Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, è il “meglio maestro d’Italia”, e lo scrive a suo padre Mariano, perché Agostino vorrebbe commissionare proprio al Maestro di Città della Pieve, il divin pittore, la realizzazione della pala per l'altare di famiglia nella chiesa di Sant’Agostino a Siena, la Pala Chigi (1506-07), tuttora ammirabile.
Giorgio Vasari ne Le Vite (1550) non fu certo tenero con il Perugino, al quale riconosceva sicuramente talento e capacità ma che tutto guastava per dissetare la sua sete di danaro prendendo committenze a più non posso senza mai rifiutarne una, compresi i lauti anticipi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a portare a termine il lavoro o finendo per prodursi in repliche dei suoi dipinti precedenti, per così riuscire a rispondere alla sempre più crescente domanda che giungeva alla sua bottega da tutta Italia.
Quindi, quando giovedì 8 giugno alle ore 13:00 mi trovo davanti all'ingresso assolato della Galleria Nazionale dell'Umbria, so più o meno cosa andrò a vedere, perché la mostra allestita per celebrare i 500 anni dalla morte del meglio maestro d’Italia ripercorre tutta la carriera di Pietro Vannucci, dai primi riusciti lavori di bottega, con le 8 tavolette titolate Storie di san Bernardino (1473), passando per la consacrazione della sua arte pittorica con L'Adorazione dei Magi (1470-73 o1476), per poi finire alla catastrofica committenza di Isabella d'Este perché le facesse un dipinto per il suo studiolo al Castello di San Giorgio a Mantova, La Lotta tra Amore e Castità (1503, in prestito dal museo del Louvre), e il tutto messo a confronto con maestri (Andrea del Verrocchio, che supererà) e allievi (Raffaello, che lo supererà): il Perugino morirà di peste bubbonica nel febbraio 1523 a Fontignano, una piccola frazione del comune di Perugia a mezz'ora di macchina dal capoluogo umbro,dove nel 1511 decise di trasferire casa e bottega credendo di sfuggire così al micidiale batterio lasciando la affollata città.
Quindi arrivo giusto in tempo per testimoniare a questo evento culturale che andrà a chiudere le sue porte e a riconsegnare i suoi molti prestiti il 10 giugno 2023. Arrivo da Teramo digiuno per evitare la calca del dopo pranzo, e mangerò un panino più tardi, da Jerry, non molto distante dalla Galleria.
Quello che di tutto il bello raccolto in mostra attira di più la mia attenzione sono le due Madonne col bambino disposte all'inizio dell'affollatissimo percorso dedicato al Perugino, dipinti davanti ai quali torno più volte, attendendo sciolga il coagulo di visitatori che si raccoglie intorno alla guida di turno, che alcuni scelgono per farsi condurre nel racconto per immagini dell'artista.
A destra c'è una Madonna col bambino (1470, in prestito dal museo Gemäldegalerie di Berlino) di Andrea del Verrocchio e a sinistra c'è una Madonna col bambino del suo allievo Pietro Vannucci (1470-71, in prestito dal museo Musée Jacquemart-André di Parigi), dove quella del Perugino appare come una prova d'artista perché sembra riprodurre la medesima figura proposta dal maestro però arricchendola di ulteriori dettagli e, soprattutto, aumentandone l’intensità del colore: gli azzurri, i rossi, l'incarnato. Quindi in entrambi i dipinti possiamo osservare la Madonna e Gesù infante all'impiedi, il bambino con i piedini sopra una balaustra a destra della madre che lo tiene con una mano mentre gioca. Il dipinto del Verrocchio però è più grande, più alto di 15 cm e più largo di 7 cm.
I dipinti sono davvero molto simili, più da esterno quello del Verrocchio, più da interno quello del Perugino. Nel quadro del suo maestro troviamo alle spalle delle due figure un aperto paesaggio, mentre in quello dell'allievo il panorama è chiuso, ristretto dal profilo di una tenda e da una ghirlanda di fiori. Sulla balaustra del primo la madre ha poggiato un cappello nero, mentre sul secondo un libro aperto e, legato a un dito, questa Madonna tiene un uccellino come divertimento del bambino. Le madri poi, attente, hanno lo sguardo basso sui propri figli, mentre i figli ci guardano e sembrano attirare la nostra attenzione alzando entrambi la manina destra. Le figure del Perugino appaiono maggiormente in primo piano, come se fossero più avanti nello spazio scenico, più a ridosso della cornice.
Esco dopo circa due ore dalla mostra, dove ho approfittato anche di tornare a visitare la ricchissima collezione permanente della Galleria Nazionale dell'Umbria, e arrivo da Jerry dove trovo posto sugli sgabelli all'esterno, una buona ombra e una sola persona in fila che attende la sua ordinazione. Jerry è il titolare de La Bottega di Perugia, che non fa dipinti ma panini, una davvero piccola gioielleria della norcineria umbra in Piazza Morlacchi, vicino al teatro, dove tutto trova davvero compimento in un bicchier di vino e in un panino; e mentre seduto sul mio sgabello addento il mio panino con ciauscolo, ripenso alla mostra, al Verrocchio e al Perugino, alle Madonne col bambino, ad Agostino Chigi e... Ma non è che avesse ragione il Vasari?... che il Pietro Vannucci tirasse più pei soldi che per l'arte, cedendo già da subito alla maniera di altri, e perfino di se stesso?...
Quanti pensieri fanno la fame persa dentro un buon panino.
MASSIMO RIDOLFI