Teramo - Presentata questa mattina la mostra della fotografa teramana, scomparsa nel 2002, Sebastiana Papa dal titolo “Sono tutta negli occhi”: negli anni '60 ha viaggiato in tutto il mondo per raccontare poverta', rivoluzioni ed eventi. Le 130 fotografie, allestite presso l’arca, saranno in esposizione dal 1° luglio al 19 novembre 2023.
Una sezione della mostra, composta da 10 fotografie di grande formato, sarà allestita presso l’Università di Teramo, Polo Spaventa, come parte integrante e permanente del Contemporary Sculpture Garden; questa sezione sarà inaugurata il 19 luglio.
“Sono tutta negli occhi”. Sebastiana Papa fotografa
(Teramo 1932 - Roma 2002)
È la storia di uno sguardo quella di Sebastiana Papa, uno sguardo discreto e gentile, capace di annullare tutti gli altri sensi per fermarsi sui soggetti, anche solo per osservarne la bellezza e indagarne lo spirito, non necessariamente per fotografarli. Un atteggiamento quasi incomprensibile oggi (un’epoca di sguardi importuni e aggressivi) ma ancora condiviso tra i fotografi della sua generazione.
Tutti i giovani vogliono scegliere il proprio destino in autonomia, e spesso trovano nel viaggio la dimensione ideale anche per conoscere se stessi; ma per una giovane donna italiana degli anni Sessanta dello scorso secolo non è così scontato. La professione del fotografo poi è piena di rischi: viaggiare da sola nelle aree più povere o instabili del mondo richiede coraggio, e poi la sicurezza economica è un miraggio in un mercato senza regole e pieno di concorrenti. Lei però sembra possedere, ancora giovane, i segreti del mestiere: per far accettare la presenza dell’obiettivo fotografico, sempre indiscreto, ci vuole pazienza e tatto, qualità innate del suo carattere.
E poi sa creare spontaneamente amicizie, e viene accolta senza diffidenza tra le paracadutiste congolesi come nei templi buddhisti del lontano Oriente.
Per quarant’anni le fotografie di Sebastiana Papa hanno raccontato il mondo intero: dalla Cuba rivoluzionaria all’Africa nel pieno della decolonizzazione, dalla severa e misteriosa Russia sovietica alla Parigi ribelle del Sessantotto. In ogni luogo però sono le persone ad attrarla irresistibilmente: mentre le fotografie che la ritraggono quasi non esistono, lei concentra tutta la sua attenzione sugli altri, su volti colti nel lampo dell’istantanea ma che sembrano ritratti di studio, ottenuti grazie ai tempi lunghi della posa.
Ma sono le donne il suo soggetto d’elezione, raccontate sempre attraverso il suo specifico registro, quello della misura e del silenzio: negli anni in cui l’Occidente è investito dalla rivoluzione femminista, Sebastiana Papa indaga affascinata la dimensione della spiritualità femminile, nelle sue diverse declinazioni in ogni continente e in ogni credo religioso. La sua è una scrittura per immagini (accompagnata spesso da quaderni fitti di appunti) che è sempre il risultato di una profonda riflessione, in particolare quando si applica ai suoi soggetti preferiti: l’India innanzitutto, sintesi di ogni desiderio e dove torna appena può, e Israele; i bambini e gli anziani, la danza e il gesto rituale.
Attraverso una selezione ragionata del suo lavoro, costituito da molte migliaia di immagini, la mostra racconta gli itinerari e i soggetti di una vita dedicata alla fotografia, ma soprattutto le storie e gli sguardi, come ha scritto lo scrittore David Grossman osservando le sue immagini, di quella grande famiglia cui tutti apparteniamo, sul cui volto “il tempo incide le proprie lettere”.
Sebastiana Papa
Sebastiana Papa nasce a Teramo il 1° dicembre del 1932. Primogenita di una famiglia di origini teramane e siciliane, ha tre fratelli: Salvatore, Marcello e Luciano. Compie gli studi superiori presso l’Istituto Magistrale “Giannina Milli” di Teramo; intorno al 1950 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza e si trasferisce a Roma. Mantiene un contatto costante con la città di origine e con Giulianova, dove la famiglia ha una casa estiva e trascorre periodi di vacanza.
All’inizio degli anni Sessanta inizia a interessarsi alla fotografia e a collaborare con la casa editrice Curcio, per la quale documenta le chiese romaniche di San Clemente in Abruzzo. È a questa circostanza che vanno fatte risalire le prime foto da lei scattate a soggetti umani di cui si ha testimonianza, eseguite con una Lubitel, fotocamera economica biottica a pozzetto, di fabbricazione sovietica, con cui porterà a termine anche le prime campagne fotografiche fuori dall’Europa prima di passare alla Leica M3. Nello stesso periodo scopre per la prima volta Israele.
Nel 1964 ritrae in Polonia Zivia Lubetkin Zuckerman, superstite dell’Olocausto e leader della resistenza ebraica nel Ghetto di Varsavia del 1943; nel 1965 è a Mosca; negli stessi anni viaggia in India, dove si recherà innumerevoli volte negli anni successivi, in Israele, in Congo, in Spagna, in Francia, infine in Sardegna, a Orgosolo, in seguito a un interesse maturato per il fenomeno del banditismo, e a Ghilarza, dove incontra, fotografa e intervista la sorella di Antonio Gramsci. Nei primi mesi del 1967 viaggia ancora in India ed esplora il Nepal, avvicinandosi al tema del monachesimo femminile, sul quale inizia a lavorare anche in Italia. A marzo è in Libia, poi in Jugoslavia verso Bucarest e il Monastero di Cozia, in Romania, quindi a Istanbul; nel 1968 viaggia in Messico, in Indonesia, in Cambogia, in Croazia, negli Stati Uniti e nuovamente in India.
Nel gennaio del 1969 è a Praga, per documentare i funerali di Jan Palach, poi di nuovo in Israele, a Gerusalemme, che frequenterà a lungo e con assiduità stringendo rapporti di amicizia con gli scrittori David Grossman e Abraham B. Yehoshua; allo stesso periodo è ascrivibile una delle rarissime immagini che la ritraggono in azione, in una località imprecisata dell’Egitto. Nel giugno del 1970 è nel Salento, in Puglia, dove documenta il fenomeno del tarantismo; compie quindi un lungo viaggio in camper verso la Turchia, giungendo fino in Iran, a Teheran e Persepoli. In Abruzzo documenta la festa pasquale dei Talami ad Orsogna, nel 1968, e il linguaggio gestuale a Cerqueto di Fano Adriano, nel 1977.
Nei decenni seguenti è a Parigi, a Cuba, di nuovo in Nepal, in India, in Israele, negli Stati Uniti, in Brasile, ancora in Turchia, in Argentina, in Cile, in Cina, in Etiopia, in Estonia, a Creta, in Egitto, in Giappone, in Birmania.
Espone in tutto il mondo e collabora con i maggiori quotidiani italiani e i più importanti settimanali, con quelli francesi, tedeschi, inglesi, americani, indiani. Pubblica ventisei volumi con Mondadori, Garzanti, Vallardi, Franco Maria Ricci, Edizioni Scientifiche Italiane, Fahrenheit 451, Vita e Pensiero, La Casa Usher, Edizioni Paoline.
Gli ultimi viaggi che compie sono nei luoghi che più degli altri aveva amato e frequentato nel corso della sua vita: a Gerusalemme, in Israele, nel 2000, e a Varanasi, in India, nell’autunno del 2001. Sebastiana Papa muore a Roma il 20 aprile del 2002, lasciando incompiuta la realizzazione dell’opera antologica Le Repubbliche delle Donne, dedicata al monachesimo femminile, portata poi a termine nel 2013 sulla base delle indicazioni dell’autrice.
Il suo archivio, costituito da circa 7 mila pellicole negative 35 mm, da una corposa raccolta di provini, di stampe fotografiche di vario formato, di materiali di lavoro, unitamente alle macchine usate, due Leica M3, è stato donato nel 2006 per volontà dei fratelli all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma (ICCD, Gabinetto Fotografico Nazionale); la sua biblioteca, secondo le volontà da lei espresse, è stata donata al Centro per la pace e l’intercultura di Nonantola, in provincia di Modena.
Le sue ceneri sono riposte nel piccolo cimitero del Monastero Cistercense della Stretta Osservanza di Vitorchiano.