Pescara - “Subire una pena detentiva lunga e severa all’età di 22 anni ruba anni fondamentali per il proprio percorso di vita. E se dopo sei anni ti è riconosciuta l’innocenza e la totale estraneità rispetto ai reati contestati, nessuno ti ridarà quegli anni. Per questo credo che si debba grande rispetto a Giulio Petrilli e alla sua battaglia, per la quale voglio esprimere tutto il mio sostegno umano e politico”: lo dichiara il senatore Michele Fina, segretario del Partito Democratico abruzzese.
Fina ricorda che “nel contesto sociale della Milano degli anni ‘80 Giulio Petrilli viene arrestato con l’accusa di fiancheggiare l’organizzazione terroristica Prima Linea subendo la sofferenza del carcere duro per sei lunghi anni. Solo nel 1986 la Corte di Appello di Milano emetterà sentenza di assoluzione, confermata tre anni dopo dalla Cassazione, restituendo alla libertà Giulio. ‘Il carcere è una sofferenza che ti porti 24 ore su 24, la indossi sempre. Mi creda, ci si riduce ad aver paura della propria libertà. È una sensazione indescrivibile, che non auguro a nessuno. Ed è per questo che continuo a lottare’ queste le parole di Petrilli in un’intervista di qualche anno fa. Questa la profonda sofferenza di un uomo innocente ingiustamente detenuto. A queste parole e a questa sofferenza le Istituzioni della Repubblica devono una grande attenzione e un dovere di ascolto. Per la storia di chi ha vissuto una vicenda tanto difficile e, ancor di più, per chi in futuro potrebbe sfortunatamente farne esperienza. La norma sull’ingiusta detenzione risponde ad un dovere di giustizia e umanità di cui lo Stato si deve far carico, rispondendo all’alto rispetto dei principi fondanti della Costituzione, in particolare di quanto esprime l’articolo 24 in materia di riparazione degli errori giudiziari. Il lungo e complesso dibattito sull’articolo 314 del Codice di Procedura Penale è frutto della delicatezza della tematica e degli interessi in gioco. Dottrina e Giurisprudenza hanno ampiamente approfondito, negli anni, i vari aspetti legati ai contenuti e all’applicazione della norma; tuttavia, sono ancora molti gli aspetti da migliorare e correggere.
Troppe le richieste respinte a causa dell’ampio margine di discrezionalità che il comma 1 dell’articolo 314 c.p.p. garantisce, lasciando inascoltate le legittime richieste di tanti, troppi, cittadini utenti della giustizia e vittime di errori. È giusto che i Giudici di Corte d’Appello, a cui è affidato il potere e la responsabilità di valutare le istanze, possano esercitare con pienezza di prerogative i casi a loro sottoposti. Ma è altrettanto legittimo, e ormai urgente, che tanti onesti cittadini possano vedere riconosciuto il diritto al risarcimento per aver patito gli ingenti disagi di un’ingiusta detenzione. La forza e la credibilità dell’ordinamento giuridico si misurano sulla capacità di comprensione più ampia possibile delle condizioni soggettive e dei diritti inalienabili dei cittadini, non certo dalla rigidità delle norme e della loro applicazione. Per questo ritengo che sia giunto il momento di tendere l’orecchio alle voci accorate di chi, pur vivendo ancora il dolore di una ferita aperta, personale e civile, chiede allo Stato riconoscimento e, nel chiederlo dimostra di credere ancora ai poteri pubblici, concedendo una seconda possibilità. E’ una grande occasione per riabilitare fiducia e autorevolezza istituzionale, nonché per lenire quelle ferite e rendere più viva l’attualità della Costituzione repubblicana. Grazie a Giulio per la sua battaglia: siamo al suo fianco per uno Stato giusto e una Giustizia più umana”.