Giulianova - L’autopsia sul corpo di Fabiana Piccioni, la 47enne ritrovata senza vita nelle campagne della periferia di Giulianova inizia a raccontare degli ultimi attimi di vita della donna. Ad ucciderla è stato un arresto cardiocircolatorio provocato da un mix di droga, cocaina e oppiacei. Quando parte del corpo è stato dato alle fiamme era già morta e non ha subito violenza sessuale. Il corpo di Fabiana è stato quindi abbandonato lì, senza abiti e bruciato tra sacchi di rifiuti dopo la morte. Chi si è liberato del corpo di Fabiana ha cercato, si suppone, di cancellare ogni traccia con le fiamme ma si è disfatto dei suoi abiti e del cellulare in qualche altro modo. Infatti, dopo un’attenta ricerca sul luogo del rinvenimento del cadavere, non sono stati trovati né gli abiti, né il telefonino che risulta non raggiungibile dal 3 gennaio, dopo che la sera del 2 la mamma ha ricevuto un messaggio vocale della figlia. Poche parole per dirle “Sto bene”. Poi nulla più. L’ipotesi più accreditata è che chi era con Fabiana, accortosi del decesso, abbia pensato di disfarsi del corpo in quella macabra modalità. Ma nel corso dell’autopsia sono stati prelevati liquidi biologici e fatto tamponi per isolare tracce di Dna appartenenti ad altre persone. L’inchiesta va avanti e sono state sentite diverse persone: per adesso non ci sono indagati ma l’ipotesi di reato che prende forma è quella di occultamento e vilipendio di cadavere e morte come conseguenza di altro reato. Tuttavia, già nella denuncia di scomparsa della donna il 4 gennaio scorso, i familiari hanno fatto il nome di un uomo che negli ultimi tempi Fabiana aveva ripreso a frequentare e nella cui abitazione la mamma è andata proprio per chiedere se la figlia fosse con lui. L’uomo è già stato sentito dai carabinieri e lo sarà nuovamente nelle prossime ore, così come altre persone nella giornata di ieri sono state ascoltate nella veste di persone informate sui fatti. Intanto si cerca anche la bicicletta di Fabiana, quella su cui la si vedeva sempre per le strade di Giulianova. Chi la conosceva racconta che era sempre sorridente, dopo quel periodo passato in una comunità di recupero, anche grazie all’esperienza del volontariato e dell’ingresso in un gruppo di preghiera.