Teramo- Ieri sera sul versante aquilano del Gran Sasso si è rivissuto l’incubo del maggio del 2017 quando fu disposto il divieto di consumo di acqua proveniente dall’acquifero del Gran Sasso: stesso caos istituzionale con comunicati e ordinanze che si sono rincorsi e conseguente assalto ai supermercati per reperire acqua in bottiglia.
Ancora una volta l’utilizzo di una sostanza pericolosa come il toluene per la verniciatura delle gallerie autostradali ha imposto la messa a scarico dell’acqua e ha determinato, anche a causa della mancanza di una comunicazione preventiva, panico e profondo disagio nella popolazione.
Gli interventi erano previsti da tempo e peraltro esiste un protocollo sulla gestione delle comunicazioni dei lavori da effettuare sotto il Gran Sasso che dovrebbe mettere tutti gli enti nelle condizioni di gestire le problematicità legate a questi interventi in maniera ordinata. Evidentemente è mancato un sistema di preallerta – come quello che i cittadini del teramano pagano da anni con le loro bollette sull’acqua – che rendesse possibile effettuare in sicurezza e tranquillità un intervento programmato e quindi ben noto agli addetti ai lavori.
Resta comunque difficile da accettare che acqua inquinata, o anche solo potenzialmente inquinata, possa essere messa a scarico in un ecosistema naturale che è all’interno di un Parco Nazionale e di siti della Rete Natura 2000 dell’Unione Europea.
Così come è assolutamente inaccettabile che si possa mettere a scarico acqua destinata al consumo umano in un periodo condizionato dalla siccità.
Alla fine sembra che passano gli anni, ma sull’acquifero del Gran Sasso si continuano a commettere sempre gli stessi errori.
Del resto a distanza di 5 anni il processo per accertare le responsabilità di quanto accaduto nel 2017 resta di fatto impantanato e non riesce ad entrare nella fase dibattimentale. E non è certo un bel segnale per i cittadini che vorrebbero essere rassicurati sull’acqua che bevono, ma anche sulla ricostruzione dei fatti e sulla ricerca della verità.
L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, promosso da WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia - GADIT, FIAB, CAI e Italia Nostra, ricorda per l’ennesima volta che la messa in sicurezza dell’acquifero del Gran Sasso non è semplicemente un problema di “sistemazione di tubi”, ma che si sta operando all’interno di un acquifero che fornisce acqua a centinaia di migliaia di abruzzesi e che ci si trova all’interno di un ambiente naturale che – almeno sulla carta – dovrebbe avere il massimo grado di tutela a livello nazionale ed europeo.
Una situazione come quella verificatasi nell’aquilano ieri sera, esatta replica di quella di 5 anni fa nel teramano, è inaccettabile e rappresenta un vero e proprio affronto per chi vuole credere ancora nelle istituzioni.