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LA TRAGEDIA DI RIGOPIANO

Cultura  | 23 October 2024

Se mi affaccio dal terrazzino della mia camera, un luogo molto amato da chi frequenta la mia casa, soprattutto nella bella stagione, posso vedere il monte Camicia, una parte del massiccio del Gran Sasso d'Italia. La prima cosa che vedo al mio risveglio, se il cielo non è grigio come questa mattina, è il monte Camicia. E nella foto allegata al testo di questo articolo, vedete me che dal terrazzino della mia camera mostro il monte Camicia a Gianfranco Lauretano, dicendogli che lì dietro è successa la tragedia di Rigopiano. La foto, di Fiorella Sampaolo, è datata 13 giugno 2020, che fu il primo via libera dal Covid, che ci illuse tutti della sua fine; e Gianfranco e Fiorella risalivano dalle loro perlustrazioni nel Suditalia in cerca di poeti per l'Almanacco di Raffaelli, e si erano fermati a salutarmi prima di rientrare a casa, a Cesena Gianfranco e, prima, a Tolentino Fiorella.

Rigopiano fa parte del comune di Farindola, il primo che si incontra attraversando da quella parte il confine che delimita le province di Teramo e Pescara – in realtà prima era tutta provincia teramana, compresa una parte della attuale città di Pescara, che era l'ultima località di mare a sud, Castellammare Adriatico, area provinciale che terminava sulla sponda nord del fiume Pescara: la Provincia di Pescara fu una invenzione datata 1927 del fascistissimo ministro Giacomo Acerbo, di Loreto Aprutino, che stava a Benito Mussolini come Joseph Goebbels ad Adolf Hitler, e Gabriele D'Annunzio. Farindola è pure il primo comune che si incontra passando da Arsita, il paese dei miei genitori, dove ho trascorso le estati e i natali della mia infanzia. Rigopiano, distante da Arsita neanche 15 km, nemmeno mezz'ora di macchina, era quindi anche la montagna della mia infanzia. Infatti, lì mio padre ci portava a fare scampagnate, lui che amava il suo paese e la montagna su tutto. All'epoca era un luogo scarsamente sviluppato per il turismo e c'era poco o niente. Ma del resto chi faceva le sue gite lì era abituato a portarsi tutto dietro, e si era pronti persino a cucinare direttamente in montagna allestendo focolari circondati da grosse pietre dove appendere il catino per fare bollire l'acqua per cuocere la pasta e sulle cui braci si lasciavano le griglie per arrostire la carne. E rimasi non poco sorpreso quando seppi che lì ci fosse un hotel con spa e tutte le comodità degli alberghi di città o dei centri turistici più in voga. A Rigopiano?

Insomma, Rigopiano è un luogo della mia infanzia che, oltre la mia infanzia, non ho più frequentato, ma resta un luogo dell'anima. Un luogo della pace dell'anima. Chi avrebbe mai potuto immaginarlo trasformarsi in un luogo della tragedia; chi avrebbe mai potuto credere un giorno la neve spaventosa? Eppure il 18 gennaio 2017 la neve ha portato lo spavento. Ricordo bene la neve di quei giorni e i continui terremoti: io stesso, a Teramo, in città, ero bloccato nel mio appartamento con le mura che tremavano non dal freddo ma dalle continue scosse di terremoto. Ma a un certo punto cominciò a fare più spavento la neve. In città. Figurarsi in montagna che mostro stava diventando con il passare dei giorni. 

Ho ripensato a tutto questo ascoltando il podcast E poi il silenzio – Il disastro di Rigopiano di Pablo Trincia (link: https://open.spotify.com/show/2pk7HaxdtQKK629hkJmAvt?si=LrnKmcz7TfC_eukk_9x76A), che ricostruisce la vicenda partendo dai superstiti ma anche da chi è stato solo fiorato dalla tragedia. Gli atti giudiziari che l'hanno raccontata e giudicata intanto ci dicono di 29 morti al costo di 22 assoluzioni e 8 condanne. 11 furono i superstiti. Quella di Rigopiano è stata la più grande strage per valanga d'Europa, dopo quella di Galtür in Austria del 23 febbraio 1999, che ne causò 31 di morti. Il lavoro di Trincia, però, nonostante gli sforzi e le sgomitate produttive, mi pare scontato, prevedibile, trito, falsamente drammatizzato, con un continuo ricorso all'accompagnamento musicale e agli effetti sonori e ai rumori di sottofondo che a forza di enfatizzare il racconto lo allentano e lo slegano. È un racconto che manca di empatia, dove Trincia si mette davanti a tutto fino a coprire tutto con la sua voce: non sa farsi di lato, proprio come una valanga, che, però, non è caricata dalla neve ma dall'opportunismo – voce che si preoccupa più di autopromuoversi e ricordare chi produce e chi paga questo suo documentario che di dirci i fatti che vorrebbe documentare, atteggiamento che infastidisce non poco solo ad ascoltarlo. Insomma, a me è parso solo un prodotto commerciale, facile, vendibile, che non soddisfa alcuna intenzione civile ma, forse, accontenterà gli eroi per caso e per diletto e chi si crogiola nell'inutilità pietista: raccomanda anche inutilmente l'ascolto a un pubblico adulto, quando non c'è niente di sconvolgente in questo audiodocumentario, tutto virato sui colori pastello dell'ovvietà. Ma tutto il guaio di questo lavoro, Trincia, sta tutto nel titolo, che rappresenta sempre una sintesi ragionata di qualsiasi lavoro intellettuale, riuscito o no che sia, perché quanto accaduto a Rigopiano non è stato un "disastro" ma una tragedia.

Più di tutto dell’accaduto di questa ennesima strage italiana, sostanzialmente senza colpevoli, fatta eccezione per il titolare dell’albergo Rigopiano-Gran Sasso Resort, Roberto Del Rosso, che ha pagato però con la morte la sua superficialità perché anche lui tra le vittime, ricordo la disperazione di Alessio Feniello, padre di Stefano (28), anche lui tra le vittime, che rincorreva Luciano D'Alfonso, all’epoca dei fatti Presidente della regione e candidato al Senato, ovunque si trovasse per la sua campagna elettorale per chiedergli personalmente spiegazioni della morte di suo figlio (Link: https://youtu.be/SUgOHYHKJrA?si=c0aZIGRDnJo3VBpY), perché il presidente di regione è al vertice degli organismi di soccorso in caso di emergenza causa calamità naturale.

Stefano era a Rigopiano con la sua fidanzata, Francesca Bronzi, miracolosamente sopravvissuta, e su Facebook, a proposito dell'arrivo a Rigopiano, scriveva: "Il mio nome è Stefano, Stefano Feniello. Sono un ragazzo di 28 anni, sono cresciuto in una famiglia che mi ama ed io amo loro... Sono diventato grande, mi sono innamorato di Francesca, la mia ragione di vita, la mia fidanzata attuale. Sono diventato grande, ho un lavoro modesto, insieme alla mia ragazza ci siamo divertiti per il mondo, è bello viaggiare... Ho conosciuto tramite internet un albergo a 5 stelle, l’hotel Rigopiano, ho voluto fare una sorpresa a Francesca per il mio 28esimo compleanno e i 5 anni di fidanzamento fra le vette del Gran Sasso, dalle foto niente male l’albergo, direi che è fantastico, partiamo per Farindola, nevica parecchio, incontriamo una volante della polizia municipale, ci dicono che ci scortano fino all’albergo, ma niente paura, c’è un mezzo spalaneve..." era il 17 gennaio. Però, spaventati non dalla neve ma dalle continue scosse di terremoto, i due giovani volevano già il giorno dopo lasciare l'albergo e tornare a casa, ma questa possibilità gli fu negata per l'impraticabilità della strada.

"Guardo alla finestra e ci sono 2 metri di neve, non c’è lo spazzaneve che ieri ci ha scortati, sono sicuro che arriveranno, calmo Francesca e gli dico che va tutto bene, andremo a casa, il direttore ci dice che ci fa uno sconto se restiamo per un’altra notte, decidiamo di restare perché fuori c’è l’apocalisse, mi siedo di faccia a Francesca, ci riscaldiamo davanti al camino ma un rumore proviene dall’alto, cade tutto, le travi cedono, finisco a metri di distanza, non sento più nulla, ho freddo, non reggo più, qualcosa mi fa male e forse questa volta non ce la farò, la mia vita, la vita che amo mi ha portato via. Mi chiamo Stefano e non sono più tra voi, sono volato via per il maltempo, volevo andare via ma mi è stato impedito, sono morto per colpa della mano dell’uomo, non ci sono più perché nessuno è venuto a soccorrerci, adesso i miei sacrifici sono stati persi e non ho più nulla, vivo nei ricordi di chi mi ha voluto bene, vivo nel dolore e nella rabbia di mamma e papà, vivo nel cuore di chi oggi mi ha aperto il suo cuore, vivo in ognuno di voi", scriveva Stefano il 18 gennaio, prima e dopo essere stato schiacciato dalla valanga.

Alessio Feniello un giorno violò i sigilli giudiziari posti sull'area della tragedia per portare un fiore sul luogo dove era stato estratto il corpo senza vita di Stefano.  Per questo fu condannato a una pena pecuniaria di 4.550 euro. Impugnato il provvedimento, fu poi assolto, come Luciano D'Alfonso, tra i 22 assolti finora per la tragedia di Rigopiano. Ora si attende sfiduciosi la Cassazione.

MASSIMO RIDOLFI

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