Fino a pochi anni fa non si aveva proprio la percezione dell’anatomopatologo, del medico legale, di quelli che fanno le autopsie in particolar modo, del cerusico che cerca, che si limita, senza danno ulteriore, che proprio non rischia di salvare nessuno, nel dire come potrebbe essere morto a suo parere il cadavere che ha steso lì di fronte, freddo, marmorizzato, refrigerato, che più morte di così non si muore. L’anatomopatologo, il Frankenstein moderno che ha a che fare solo con i morti – però senza nessun genio di riportarli in vita –, si penserebbe; grigi, intabarrati dentro dispositivi medici sterili e monouso, insaccati nei loro laboratori illuminati dalle sole luci artificiali, fredde stanze dove si sta solo con i morti, che non parlano – si penserebbe.
Ma poi, dopo tutti questi anni di ammazzamenti, soprattutto di donne ammazzate, accade che la televisione generalista e specialista occupa i propri palinsesti di programmi di approfondimento sui casi di cronaca nera, anche quotidianamente; e in più in rete si possono trovare decine di canali social dedicati. Così è successo che questo grigio professionista che si occupa principalmente di cadaveri comincia ad avere un volto, a farsi meno grigio, ritrovando pure la parola, la luce del giorno, a discapito dei morti, che non parlano mica, si direbbe.
Oggi in Italia la star di questo riesumato mondo scientifico è Cristina Cattaneo, esperta di antropologia e scienze forensi della Medicina Legale, nonché fondatrice nel 1995 del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) presso l’Università degli Studi di Milano, che riunisce antropologi, odontoiatri, medici legali, biologi, archeologi e naturalisti, tutti intono a un cadavere, intero o in parti.
La Cattaneo ha particolarmente a cuore l’identificazione dei cadaveri, o di quello che ne rimane: di notevole rilevanza civile è il suo impegno nella identificazione dei migranti vittime di naufragio, per il quale nel 2017 le è stato conferito il titolo di Commendatore della Repubblica italiana. Per comprendere l’urgenza del tema, basti pensare che oggi negli obitori italiani sono conservati più di 2.000 cadaveri non ancora identificati ai quali il Ministero dell’Interno dedica una sezione del proprio sito istituzionale, Registro nazionale dei cadaveri non identificati (link: https://rncni.clio.it/): nella provincia di Teramo, a oggi, risulta registrato solo un cadavere non identificato, vittima, probabile suicida, di un investimento ferroviario nel comune di Pineto, rinvenuto il 15 luglio 2000 al km 332+903 della linea ferroviaria Ancona-Pescara, un maschio dall’apparente età di 35/40 anni, altezza 170/175 cm, peso 80 kg, capelli neri, carnagione scura: indossava jeans corti marca Mash, giubbino marca Soul, t-shirt blu con simbolo ovale al centro del petto con scritta non decifrabile, zoccolo di legno, e da quel giorno attende di essere identificato; a questo dato va altresì aggiunto quello ancor più spaventoso che ci dice che nel nostro Paese risultano scomparse nel nulla, a oggi, quasi 64.000 persone, una intera città, e questi due dati troppo spesso si incrociano e significano.
Sul sito istituzionale del LABANOF è disponibile un archivio fotografico dei cadaveri ancora non identificati sui quali l’istituto è stato chiamato a intervenire dall’Autorità Giusiziaria, con foto o identikit del soggetto nella speranza che qualcuno possa in questi riconoscere e dare degna sepoltura a un proprio caro di cui non si aveva più notizie (Cadaveri non identificati, LABANOF: https://www.labanof.unimi.it/Cadaveri%20senza%20nome.html).
Cristina Cattaneo, oltre a riuscite a fare parlare pure i morti, negli ultimi 28 anni ha rivoluzionato le scienze forensi con la passione di una moderna Antigone alle prese con i molti, ancora troppi Polinice, come raccontato nel podcast labanof, che nel 2020 si è aggiudicato il Prix Italia, il più importante premio internazionale per le produzioni radiotelevisive nella categoria Radio Documentary and Reportage: da quel giorno quel particolare mondo accanto, ma sotterraneo, è un po’ meno grigio.
MASSIMO RIDOLFI