LIBRI: GAETANO PANBIANCO NEL RACCOLTO DI FAUSTO RONCONE
Mi pare chiaro che Fausto Roncone non pubblica “semplicemente” dei libri, frutto dello scavo inesausto prodotto dall’anima passionale del ricercatore che lo muove a ogni sua azione; no!, Fausto Roncone pubblica atti d’amore, che così conserva per renderli visibili al mondo che ha occhi per vedere e cuore per sentire. Strumenti entrambi utili al sapere. Poi c’è l’elaborato cerebrale, che riordina le cose e ce ne rende della sostanza la sua propria forma.
E questa consapevolezza ci è qui utile per comprendere come questa sua ultima pubblicazione, Gaetano Panbianco poeta, giornalista, letterato, politico, La tipografia diventa poesia, non sia solo un libro da leggere bensì da visitare, perché attraverso il suo maggiore rappresentante, ci introduce alla davvero notevole storia degli stabilimenti tipografici loretesi e della loro intensa attività editoriale, soprattutto pubblicistica: questo libro ci racconta di un mondo dove era ancora davvero importante comunicare attraverso la scrittura e la stampa. Sì! Perché in queste pagine è raccolto un luogo, che è psichico e fisico, che è privato e pubblico, che è paese ma anche metropoli, che è uno stare politico nel mondo, perché si può, è vero!, girare il mondo ma sempre dalla porta di casa bisogna uscire per partire. Questa porta che spesso è stretta; che spesso chiude o apre a poche cose.
Ma non sono affatto poche le cose che scopre questa opera di Roncone, perché ci mostra e svela la dura esistenza di un uomo, Gaetano Panbianco appunto, che ha trovato e dato senso alla sua vita attraverso la parola prima scritta e poi stampata. Sì!, perché Panbianco prima di tutto era tipografo e tipografo della sua tipografia, La Tipografia del Lauro di Loreto Aprutino, dove componeva parole di libertà, tutte patite, lettera per lettera.
Con Panbianco Roncone condivide l’arte tipografica, di cui è Maestro e custode; custode di un tempo quando questa arte si faceva con le mani, annerendosi i polpastrelli, tagliandosi e pestandosi le dita sulla cassa tipografica e sul compositoio, chiusi dentro scomodi scantinati, rimanendo per ore in locali umidi e bui. Riempiendosi i polmoni di polveri di piombo e vapori di diluenti. E questa ultima pubblicazione di Roncone segue un altro importante lavoro editoriale, curato insieme al sodale Giacomo Vallozza, Marino Di Carlo, disegnatore - decoratore grafico, (Valentina Editrice 2013), artista sempre di Loreto Aprutino e allievo di Panbianco, da dove il Maestro ama raccontarci il suo mondo nel mondo: Roncone è fine ricercatore, è vero!, ma, soprattutto, artista poliedrico che conosce profondamente le materie del suo personale racconto di uomini arti e mestieri – e qui mi è utile ricordare almeno la sua opera teatrale Ache e file, dove racconta e interpreta la vita di suo padre, Natale, sarto prima e dopo la tragedia industriale, ammalato dalla fabbrica, mestiere che un tempo caratterizzava il paese dell’area Vestina, che fu ingoiato con tutti i suoi saperi dalla macchina industriale e dal salario. Mi pare evidente che in questo febbrile operare del Maestro Fausto Roncone ci sia l’anima di un poeta, vale a dire di chi sa offrire al mondo e alla sua umanità il proprio particolare affaccio sul parapetto terrestre ridandoci un panorama universale, cioè che ci abbraccia e comprende tutti, indistintamente.
Ma torniamo a Gaetano Panbianco e a questo libro.
Il mio primo e personale incontro con questa lunga ricerca portata a questo traguardo da Roncone, risale a tre anni fa quando mi trovai davanti alla lapide funeraria di Gaetano Panbianco (p. 71), di marmo bianco, scolpita a mano e in bassorilievo, che ci mostra due allori a incorniciare al centro della pietra una piccola croce greca, il suo nome e cognome, uno sotto l’altro e leggermente sfalsati, e le date di nascita e di morte, 1.2.1864 - 1.7.1937. Roncone corse al cimitero di Cartecchio di Teramo (città dove nel 1912 Panbianco trasferì affetti e interessi e dove restò per il resto della sua vita, pp. 51 e 85, eccetto il periodo di esilio interno a Verona dove fu costretto a riparare causa le sue pagine di denuncia contro il fascismo che produssero nel 1929, per mano del regime, la chiusura dello stabilimento tipografico e la conseguente cessazione delle pubblicazioni; coraggiosissimo e lapidario fu un suo articolo del 16 dicembre 1924, che titolò con chiarezza Questione morale, pubblicato sulla prima pagina de Il Popolo Abruzzese, stampato nella sede di Largo Porta Reale, Stabilimento S.T.E.A., p. 68, mentre la redazione era in Corso San Giorgio, dove invitava l’onorevole Benito Mussolini a dimettersi dopo le famigerate elezioni del 6 aprile 1924, frutto di violenze e soprusi e della legge truffa del loretese Giacomo Acerbo, che garantiva alla lista più votata e che avesse raggiunto almeno il 25%, l’assegnazione di 2/3 dei seggi parlamentari, richiamando inoltre la denuncia parlamentare di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924 e successivo assassinio del 10 giugno; il 3 gennaio 1925 Mussolini, alla Camera, si assumerà la responsabilità politica, morale e storica dell’assassinio, p. 83; per Panbianco essere antifascista era, innanzitutto, un obbligo morale prima che politico; ma, purtroppo, ritratterà queste sue posizioni nel ‘28 iscrivendosi al sindacato fascista autori e scrittori, e addirittura, piegato e infragilito dal bisogno, scriverà al compaesano Giacomo Acerbo in cerca di clemenza (p. 69-70), ma a nulla gli valse questo suo vile ripensamento, che lo accomuna ai maggiori autori del nostro primo Novecento, per sviare il giro di vite agli oppositori del regime; si può dire invero che l’antifascismo di Panbianco mosse solo dallo sconcerto che portò nella politica italiana l’assassinio Matteotti, che diede a molti speranza di una veloce risoluzione del fascismo con l’Aventino parlamentare, quando invece lo fortificò nella sua presa populista; antifascismo quello di Panbianco che smorì definitivamente dopo il fallito attentato a Mussolini del 4 novembre 1925 organizzato da Tito Zaniboni, che avrebbe dovuto abbattere il Duce con un fucile di precisione austriaco sparando da una finestra dell’albergo Dragoni non appena il dittatore si fosse affacciato dal balcone di Palazzo Chigi ad aizzare la lorda canea fascista) a prenderla quando fu avvisato che era stata smontata e messa da parte perché nessuno la reclamava. Roncone me la mostrò nel foyer del Teatro Luigi De Deo di Loreto Aprutino. E così cominciò a riportarmi il suo personale, innamorante racconto di Gaetano Panbianco, e del poeta, e del giornalista, e del politico, e del tipografo soprattutto; insomma, dell’uomo libero che fu, conterraneo di cui raccoglie pubblicazioni e altri documenti da sempre, in parte riprodotti all’interno di questa elegante, curatissima opera, anche tipografica – come pure le vicende del mensile Aprutium (pp. 52-70), ideato nel gennaio 1912 da Panbianco e Zopito Valentini, che ne assume la direzione mentre il primo ne è il capo redattore; pubblicazione che raccoglie firme importanti del panorama letterario italiano: nel ‘18, sull’ultimo numero, raccoglie addirittura i contributi di Luigi Pirandello (p. 56) e dell’impunito bellicista Gabriele D’Annunzio (p. 60), ma anche di Giovanni Verga e Salvatore Di Giacomo, numero speciale dedicato interamente alle forze armate italiane impegnate sul fronte dalla Grande Guerra, edizione stampata straordinariamente a Pescara presso la tipografia Arte della Stampa dopo il fallimento della S.T.E.A., perché ora come allora l’impresa editoriale è più spesso fallimentare che redditizia perché sempre si è pensato e si pensa che scrivere non sia un lavoro ma un passatempo al quale prestare attenzione solo gratuitamente; periodico stampato sennò sempre dalla Tipografia del Lauro di Panbianco, in origine a Loreto Aprutino e poi, come detto, già da ottobre del ‘12, a Teramo, in seguito al trasferimento dell’azienda e del suo titolare nel capoluogo aprutino. Nella sede teramana, tra i tanti titoli in catalogo, si pubblicarono e stamparono anche Intorno a B. Croce e G. D’Annunzio (Tipografia del Lauro, Teramo, 1913) del giovane critico fiorentino Emilio Cecchi, allora ventottenne alla sua quarta pubblicazione saggistica ma sostanzialmente agli esordi considerato che l’unica rilevante pubblicazione precedente a questa fu La poesia di Giovanni Pascoli (Riccardo Riccardi Editore, Napoli, 1912), e un testo minore di Benedetto Croce, La chiesetta di Jacopo Sannazaro (Premiato Stabilimento Tipografico del Lauro, Teramo, 1915), che racconta del monumento funebre dove riposano le spoglie mortali del poeta napoletano, presente all’interno della chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina, autore che compose la sua opera tra ‘400 e ‘500, testo che l’editore Laterza raccoglierà solo nel 1919 in Storie e leggende napoletane, pubblicazione che il filosofo abruzzese dedicò ai rivisitati luoghi di Napoli; testi quindi anticipati sul mensile Aprutium, dove sul numero ottobre-novembre 1913, l’ultimo stampato a Loreto Aprutino, insieme al già citato contributo di Cecchi, compare anche la Confessione politica di un’altra giovane speranza delle Patrie Lettere, il giramondo Giovanni Antonio Borghese, allora trentenne.
Questo raccolto culturale di Fausto Roncone è l’esito minuziosamente documentato (basti pensare che all’interno del libro troviamo persino la riproduzione di una caricatura di Panbianco, datata 1922 e firmata da un giovanissimo Melar alias Giovanni Melarangelo, a testimoniare la sua popolarità nella città di Teramo, p. 82) della ricerca di una intera vita spesa dentro la figura dell’intellettuale loretese; difatti ci dice che aveva appena 16 anni (era il 1970, oggi l’autore ne ha 70) quando per la prima volta ne sentì raccontare a casa di Luigi Carlo Tereo, altro importante intellettuale e memoria storica del paese vestino. A quel tempo Roncone era uno studente dell’Istituto Professionale di Stato per Tipografi Compositori di Pescara e si era recato dal Maestro Tereo a portargli una copia del giornalino scolastico, IPIA (p. 12), dove il giovane aveva scritto un articolo dal titolo Venite a Loreto. Tereo, considerati l’interesse del giovane per la storia del suo paese e i suoi studi, gli raccontò allora della Tipografia del Lauro di Gaetano Panbianco mostrandogli i due giornali stampati e diretti dallo stesso a Loreto Aprutino, Abruzzo Letterario e Cronaca Abruzzese (pp. 12-13), e fu da lì che iniziò tutto quanto.
Questa pubblicazione, che ci consegna sostanzialmente una mappa da seguire se si volesse procedere a ulteriori e più approfondite ricerche particolari (ad esempio sui carteggi che ha prodotto l’esperienza editoriale di Panbianco e Valentini con i maggiori letterati del Nostro ‘900 in seno alla rivista Aprutium), e segnata nell’urgenza dell’atto necessario e non più prorogabile, sta qui a testimoniare come sia importante continuare a scrivere e fare libri perché ci racconta l’alba di un mondo giunto a un terminale tramonto, quello della carta stampata, quello del quotidiano da portare sottobraccio, quello della notizia da ricercare di prima mattina perché sennò sarebbe andata perduta per sempre, sporcandosi tutte le dita di nero inchiostro sfogliando carta da giornale, flessibile e resistente, leggera e porosa per assorbire velocemente l’inchiostro dalle rotative: questo è, più esattamente, il libro di un minuzioso archeologo che ha scavato paziente la sua terra per riportare alla luce le origini di quella pratica artigianale che oggi chiamiamo scienze della comunicazione, ma sarebbe meglio dire dell’informazione.
MASSIMO RIDOLFI
Gaetano Panbianco, poeta, giornalista, letterato, politico, La tipografia diventa poesia, a cura di Fausto Roncone, Valentina Editrice, Padova, Contatti: info@teatrodelparadosso.it - faustoroncone@gmail.com
LORETO APRUTINO
MOSTRA SU GAETANO PANBIANCO
Fino a febbraio a Palazzo Tanzi
Contatti: info@teatrodelparadosso.it - faustoroncone@gmail.com