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LIBRI: L'ATTIMO TERRESTRE

Cultura  | 24 September 2024

Francesco Scarabicchi è stato essenzialmente un uomo che ha coltivato in coppia, paralleli, quattro grandi amori, privatamente quelli per la moglie Liana e i figli Chiara e Giacomo, dai quali si congeda in terra dedicando loro l'ultimo suo libro, La figlia che non piange (Einaudi 2021), e dai quali riparte nell'antologia Il cancello (peQuod 2018); gli altri due amori, quelli pubblici, sono per la poesia e per l'arte, paralleli come i primi, tutte rette che continuano, ne sono certo per sentire e fede del sentire (credo di averlo scritto più volte a sua moglie Liana), ovunque si trovi, da lì a qui, da qui a lì.

Ecco, scrivo questa nota qui e ora direttamente sul mio telefono cellulare dove sono abituato per brevità e rapidità a scrivere i miei articoli perché un pensiero stamattina (ma anche la notte appena trascorsa mi ha accompagnato al sonno – tra la notte e il giorno dei giorni del 22 e 23 settembre 2024) mi ha svegliato, che è questo: È un po' che non scrivo di Francesco Scarabicchi. Ed è sempre un bene tornare ad affacciarsi sull'opera di questo poeta perché è un atto dovuto al senso critico, perché è senza tema di smentita lui il nostro più grande lirico di questo appena ventiquattrenne secolo. Ed è una azione sana, che fa bene appunto perché nei suoi testi ritroviamo tutti noi, perché Scarabicchi, dal sé, riusciva pienamente nel racconto collettivo dell'umano, qualità che nei lirici a lui vicini per caso anagrafico manca evidentemente: insomma, Scarabicchi, a differenza degli altri, non produceva lana ombelicale ma Poesia, che è un particolare prodotto dell'ingegno umano, particolare perché inconsumabile, e in continuo rinnovamento. E questo pensiero è arrivato assieme a una immagine – lo scrittore non inventa niente ma solo è capace a descrivere quello che vede, o che crede di vedere. Allora di questa immagine in verità voglio dirvi.

Forse di Scarabicchi è meno nota la sua attività di critico d'arte quindi di saggista, che appunto conduceva parallelamente alla scrittura in versi – su questo fronte notevole fu anche la ideazione e direzione del periodico Nostro Lunedì. Nella critica d'arte – la scrittura critica, che si sappia, è arte e come ogni disciplina artistica necessità di talento, e di un ben allenato talento – il poeta trovava uno spazio di congedo e di distensione del discorso esperienziale rispetto all'asciuttezza esatta del suo verso. Attività di vicinanza all'arte figurativa che trova ampia testimonianza negli scritti di poeti europei dei due secoli precedenti, a partire da Baudelaire, tanto per citarne il più rappresentativo, seminale. E a un certo punto, da par suo, riesce Scarabicchi nella raccolta di questi suoi interventi, di questi suoi articoli, di questi suoi racconti dell'arte italiana, potremmo dire, stilati in più di trent'anni, cioè dal 1974 al 2006, che riunisce sotto il titolo l'attimo terrestre (affinità elettive 2006).

Il titolo del volume è ripreso dalla sezione dedicata a Lorenzo Lotto, il suo più grande amore di pittore – al quale ha dedicato, in versi, il suo capolavoro, con ogni mio saper e diligentia (liberilibri 2013). Anche la copertina di questo volume ritorna a Lotto perché riproduce un particolare dell'Annunciazione del disperato maestro veneziano, dipinto datato 1534 e oggi conservato nel Museo civico Villa Colloredo Mels a Recanati – nel particolare vediamo il centro del dipinto, cioè la mensola con due libri, un candelabro e un calamaio e la sua penna. Uno dei due libri è in piedi, con la copertina rivolta a chi guarda: forse, e ce lo fa pensare il calamaio e la sua penna lì vicini, è quel libro di spese diverse dove Lotto registrava e ragionava la sua contabilità quotidiana, di pura sopravvivenza, iniziato ad Ancona il 16 novembre 1538 e tenuto fino alla fine dei suoi giorni: l'ultima annotazione, ci informa lo stesso Scarabicchi, è datata 1 settembre 1556 (p. 191). Lotto morirà a Loreto, dove il manoscritto è conservato, dentro quello stesso anno.

Ma torniamo a quella immagine alla quale accennavo, molto prosastica e quotidiana, banale ecco. Una immagine di qualche tempo fa. E in questa immagine ci sono io alla Libreria Rinascita di Ascoli Piceno che, al banco, subito dopo l'ingresso a destra, chiedo se avessero una dispersa copia de l'attimo terrestre di Francesco Scarabicchi, libro uscito dai cataloghi non so dire da quando ma certamente da troppo tempo. La commessa pare per nulla sorpresa di questa mia richiesta come se avesse per qualche ragione ben presente quel libro. Ma la mia andata ad Ascoli e in quella libreria non fu proprio peregrina quel giorno perché in qualche modo sapevo che lì ci fu una presentazione della pubblicazione in presenza dell'autore. Infatti, la commessa, dopo aver controllato sul suo computer, mi disse se potevo aspettare, che doveva controllare in magazzino, perché di quel libro, a ritrovarlo, doveva averne ancora qualche copia.

E io aspettai. E la commessa risalì da non so quale segreta medioevale, trafelata, scapigliata, impolverata, ragnatelata ma felice con in mano una copia di quell'attimo terrestre conservato in terra di Francesco Scarabicchi. E ricordo che, subito, informai via sms il Maestro di questo mio insperato ritrovamento. E che ne fu felicissimo che in un polveroso scantinato resistesse ancora una copia di quel libro mai più ripubblicato, e un lettore che ancora lo ricercasse: era il 2014, in autunno.

MASSIMO RIDOLFI

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