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LO STRANIAMENTO

Cultura  | 31 July 2023

«Ed è appunto meglio dare forma a un pensiero piuttosto che investire in pure forme tutto il lavoro della mente».
BERTOLT BRECHT (1898-1956)

 

L'opera di Bertolt Brecht è davvero da considerarsi come Vangelo del marxismo, perché ha fatto sicuramente più lui che Karl Marx per la liberazione e la formazione della classe operaia. Organico per talento, vocazione e dedizione.

Edoardo Sanguineti, in una ultima intervista, ebbe a dire che essere marxista è un lusso che pochi possono permettersi. Lui che stigmatizzava ambiguità e mollezze persino di chi percorreva la sua stessa strada, come Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini (questo traduttore e maldestro epigono del  grande Maestro tedesco) o, addirittura, Albert Camus, in tempi dove il “sogno” socialista, internazionalista, sembrava ancora realizzabile. Lui sempre fedele a se stesso, fino alla fine. Senza tremori. Senza cedimenti. Sbagliando di suo: che si inizi a dire, a quasi tredici anni dalla sua morte, che Sanguineti è stato il nostro più grande intellettuale del '900, surclassando Fortini e superando Pasolini, chiaro, asciutto, scomodo, duro nella sua visione del mondo eppure capace di un linguaggio universale, di una umiltà gramsciana, che difendeva la lotta di classe perché non ci fossero più classi sociali da distinguere ma solo quell’appartenenza alla specie umana, e senza mai cadere nella parola scontata, quella che ti aspetteresti; in più poeta grande quanto Giuseppe Ungaretti e lo stesso Pasolini.

Ma tornando all'imprescindibile poeta di Augusta, Brecht poteva permettersi questo lusso di essere marxista perché dettò da subito che “I criteri estetici sono da accantonare a favore del valore d'uso.” Perché l'arte deve essere sempre utile strumento capace di portare una azione riconoscibile, praticabile. Una buona pratica. Pedagogica. Sociale. Politica.

Da qui la rinuncia rivoluzionaria all'immedesimazione, ascritta nella pure suprema Lezione di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, che ha fatto scuola a tutto il teatro e il cinema del '900, per abbracciare lo straniamento, per così portare sul palcoscenico l'uomo pelato a vivo e la sua Epica esistenza consumistica a mero servizio del Capitale.

Straniamento come pura rappresentazione dell'esistere. Come fatto della Commedia Umana (per dirla con il drammaturgo americano William Saroyan). Producendo “una lirica non rimata con ritmi regolari”. Ciò significa fare in modo che l'azione raggiunga lo scopo: la conoscenza di sé nel mondo. Il proprio particolare agire e i suoi effetti nella società reale. La realtà per difendersi dal realistico. Affrontare la cattiveria del nuovo dimenticando la bontà del vecchio. Per così riuscire finalmente a piegare la tecnica allo sviluppo. E trasformare il mass medium “da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazione.

Ma quando ci si mette anima e corpo nella scrittura di un proprio Vangelo, si rimane inevitabilmente soli nel Getsemani, nell’orto degli uomini, e fraintesi. Creduto non per quello che si è fatto e solo testimoniato nel testo, ma per quello che si è detto. Quando Brecht ha messo sempre prima l'azione dell'esperienza davanti alla parola, e mai per sentito dire ha scritto ma per sentire il lamento umano.

Oggi questo immenso poeta, che ha sicuramente prodotto l'opera socialmente più rilevante in campo artistico e tutta dentro un tempo dove praticare in arte la parola liberata poteva essere letale – nelle sue poesie beffeggiava Adolf Hitler chiamandolo imbianchino, prendendosi gioco delle sue velleità di pittore: “Dentro di me si affrontano / l’entusiasmo per il melo in fiore / e l’orrore per i disordini dell’imbianchino. / Ma solo il secondo impulso / mi spinge alla scrivania.” scrive in chiusa di Tempi grami per la lirica, composta tra il ’39 e il ’41 del secolo scorso, già costretto all’esilio tra Svezia e Finlandia, una dichiarazione di poetica che non concede alcuna proposizione esegetica –, unico vero riformatore del teatro, ineguagliabile e addirittura ancora più grande come lirico perché capace alla rinuncia convincente dell'Io, pare dimenticato perché troppo grande.

Troppo grande è l’opera dell'uomo che non sfugge al suo tempo.

MASSIMO RIDOLFI

Ph.: Bertolt Brecht e Eric Bentley, uno dei suoi più vicini collaboratori e tra i massimi studiosi della sua opera. 

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