Questo racconto orale di Maria Grazia Calandrone parte da un amore innegabile e profondo che ogni essere umano prova e nutre, anche nel silenzio, per la propria madre – che qui va inteso, più che mai, per chi ci ha generato e portati alla luce del mondo. E senza che perda mai di gradazione il suo amore, Maria Grazia ci conduce indietro nel tempo alla ricerca di Lucia Galante, a sua volta figlia ma data in moglie; e Maria Grazia ci porta nel profondo buio di una Italia arcaica che esisteva ancora – ma forse resiste tutt'oggi – nella seconda metà del secolo scorso, e lì ricomincia il suo scavo biografico.
Maria Grazia ricerca sua madre Lucia in questa Italia di ora per allora, e lo fa con una carica inaspettata di pietà (mai pietista) e di misericordia per quanti, fatti solo di povere cose, hanno condizionato la libera vita di Lucia, costretta a un matrimonio con un uomo che non amava e che non l'amava, strappata dalla scuola appena dopo la seconda elementare e sacrificata alla terra, al duro lavoro degli arsi campi meridionali.
È un racconto atroce quello che ci riporta questo importante documento orale, che parte dall'ultima pubblicazione di Maria Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata (Einaudi 2022), libro presente nella cinquina dei finalisti del premio Strega 2023. Atroce perché ci ricorda quello che siamo stati poco fa, quando invece ora ci capita di scandalizzarci di certe culture "straniere" che ripropongono gli stessi gesti, le stesse azioni di disprezzo nei confronti della donna, considerata appendice del maschio, da usare alla bisogna, da non dovere rispettarne i desideri, le aspirazioni, perché non può permettersi nessun pensiero o azione di là dalla servitù.
Maria Grazia Calandrone si avventura così alla ricerca di sua madre Lucia Galante e produce uno scavo archeologico sotto la spessa crosta di questo Paese che pretende di nascondere la sua Storia di dura emancipazione femminile; scavo utile a ricordarci quello che siamo stati e che, purtroppo, questo maschio italiano ancora è: è lì sotto che ci porta per mano a guardare, a guardarci.
Maria Grazia pare abbia cullato da sempre in sé il pensiero compassionevole di Lucia, che è "perdonata / come si perdona un papavero / nella solitudine del grano, / come si perdona la vita / che non conosce altro che se stessa".
Ci accomuna lo stesso vivere, ci insegnano questi suoi ultimi intensi, coraggiosi anni di lavoro, ed è lì che Maria Grazia Calandrone ci presenta Lucia Galante, sua madre, innegabilmente.
MASSIMO RIDOLFI
1. da Fototessera di Lucia Galante, in Giardino della gioia, Mondadori, 2019, (Ascolta qui la poesia detta da Massimo Ridolfi: https://youtu.be/kPi5ufS9SGc)