C’è una voce, in questo inventato ultimo disco del cantautore teramano, catturata dalla traccia numero quattro, in coda; è Ivan che dice tutto dentro la sua schiettezza abruzzese, tutta teramana, appena sopra lo sciabordio del mare (Adriatico, che è un lago scuro fra il cielo e l’orizzonte); dice, giocoso, perché lui la musica l’ha sempre interpretata dentro lo spazio ludico di un gioco sonoro: “‘N’se po’ sendti... ‘N dti sindte...”
È una espressione in dialetto teramano che vuol dire: Non si può ascoltare, che non ti senti. E questa traccia è sicuramente quella più apprezzabile dell’intero disco. Disco, però, che manca dell’essenza di Ivan: manca di Rock ‘n’ Roll, di quelle giornate che passava sulle pietre del fiume Vezzola a scolorire i suoi blue jeans sognando l’America di Elvis Presley.
Difatti ci troviamo davanti a una produzione Amarcord che recupera solo ballate con sonorità che provengono sì dagli anni ‘50 a stelle e strisce (ma questo è un bene, come si può notare nella quinta canzone, Tv, e in un paio di accennati riff rock, Una donna e Ti sorprenderò, e country, La rabbia e Per gli amici, ma anche questi diluiscono immancabilmente nella ballata), però, messe in fila su otto tracce che appiattiscono, siffatte, l’ascolto.
Molto più convincente è la precedente produzione postuma, Per sempre Ivan del 1999, pubblicato a due anni dalla morte, lavoro che vanta collaborazioni importanti, come quelle di Renato Zero e Antonello Venditti, amici da sempre del cantautore teramano; disco che, è bene notarlo, raccoglie pezzi inediti ma finiti, e dove non manca certo l’anima di Ivan: il Rock ‘n’ Roll che lo fece innamorare della chitarra elettrica.
Non c’è viaggio più pericoloso di quello che si avventura tra i lacerti di un artista; ma la vita va vissuta sempre con rischio, quindi anche gli errori sono importanti, e per amore, è giusto anche sbagliare.
Di ivang resta, inviolabile, tutto il resto, non solo per gli amici.
MASSIMO RIDOLFI