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Con i suoi 109 anni, la teramana Italia Palucci è la più longeva d’Abruzzo

Attualità  | 04 March 2025

Teramo - Con i suoi 109 anni, la teramana Italia Palucci, non solo è la signora più anziana di Teramo ma anche la più longeva d’Abruzzo. E oggi ha festeggiato il suo compleanno. Italia Palucci è nata a Teramo il 4 marzo 1916, ultima di nove figli; i suoi tre nomi  le furono dati dal padre per esprimere un particolare significato: Italia Vittoria Trieste. Italia poiché in quel periodo si registrò la vittoria dell’Italia sugli austriaci e Trieste ritornò all’Italia. Italia si è sposata con Francesco Pace, geometra del Genio Civile di Teramo, e dal matrimonio sono nati 5 figli, da cui 9 nipoti e 6 pronipoti. Ha studiato come ricamatrice all’istituto Gemma Marconi. Una delle  creazioni di Italia Palucci, realizzata all’età di 19 anni, è una tovaglia per l’altare della Cattedrale, che ancora oggi viene utilizzata tutti gli anni nel giorno di San Berardo. La signora Italia ha scritto un diario della sua vita che contiene testimonianze interessanti e dirette degli eventi sociali che hanno attraversato quasi tutto il ‘900 e il primo scorcio del XXI secolo. Seduta, composta, sulla sua poltrona. Curata, dai capelli ordinati, dalle unghie color lilla. E poi, un sorriso sereno misto a dolcezza; la luce che i suoi occhi emanano gioia. E pensando che quegli occhi scuri e brillanti guardano il mondo, la storia, la sua Teramo da 109 anni, si resta inevitabilmente stupiti e incantati. "Mi sono saziata d’amore. Quello per mio marito e per i miei figli. Amare e perdonare, questo il mio motto. Ho sempre ricambiato il male con il bene. Qualcuno avrà pensato che fossi sciocca. In realtà, è stata questa la mia ricetta della felicità”.  Sentirla parlare e raccontare senza freni è fantastico. Riesce a immergerti nel suo passato e nel suo presente in pochi istanti. Da lì che escono storie, aneddoti, risate e riflessioni. Italia, quattro figli, nove nipoti e sei pronipoti, tiene a raccontare la sua vita matrimoniale. Altri tempi, sì. Ma quanto questi racconti dovrebbero insegnare a tutti noi. La fedeltà, il rispetto, l’amore senza limiti, il perdono, la stima. Lei ha 13 anni, lui, Francesco Pace, ne ha 18. Lui le mette gli occhi addosso, lei neppure se ne accorge. Ma è il Carnevale teramano che fa scopri- re dapprima l’odio e poi l’amore. Francesco, per farsi notare, le butta in faccia i coriandoli. Lei a momenti soffoca, ha bisogno di andare a prendere un bicchiere d’acqua per riprendersi. Ma la cosa non la lascia indifferente. E’ arrabbiata con quel ragazzo dal gesto antipatico e irriverente che comunque l’ha colpita. Inizia ad informarsi su di lui attraverso la lavandaia di famiglia che stenta a darle troppe informazioni. Il giovanotto lavora dai suoi, presso il ristorante “Gli uccelli” e per questo deduce che sia “lu fije de li cill”. Fatto sta che lui non molla. E’ innamorato di lei. Così nasce la simpatia reciproca che li porterà, dopo mesi e mesi, a scambiarsi le prime lettere d’amore lungo il corso di Teramo e poi, dopo altri mesi, a darsi (teoricamente) il primo bacio nella Ruota dei Sordomuti. Teoricamente, perché la prima volta lei sposta il volto e le labbra di Francesco finiscono sulle sue guance. Dopo altri tre mesi arriva finalmente il vero bacio e lei, racconta, si emoziona. Che purezza e romanticismo nel racconto. Altri tempi che cozzano fortemente con gli attuali. Meraviglia. Un amore incondizionato. Qualche volta lui “scappava” da altre ma poi tornava sempre da lei. E lei piangeva, soffriva, ma lo perdonava. “Ero tanto, tanto innamorata”, spiega. “Per me lui era tutto”. Italia era povera, come le piace sottolineare, famiglia umile. Il papà era un mastro muratore, mamma casalinga. Ultima di 9 figli, sorvegliata dai fratelli. Anche per questo la madre ha preferito farla studiare all’Istituto religioso “Gemma Marconi” dove ha imparato l’arte del ricamo, la recitazione, l’educazione, e ha avuto modo di studiare lettere e matematica. A proposito di recitazione: “Ero molto timida e mentre recitavo riuscivo ad esprimere tutta me stessa”. Italia tiene a raccontare (ricordandola perfettamente) l’ultima parte del monologo che recitò in teatro, all’epoca, davanti al Vescovo Antonio Micozzi: “Puzza cambà cent’anni, Monsignò, sempr a cuscì, bell come a stì. Sempr amat da tutt. E benedett dove met li pit. Se uje va anninz l’omne che vale, noi cert t’arcurdemm cardinal. E Teram, l’augurie che te fà, è de vedert accant a Santità”.
Italia, tanti auguri di cuore.

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