Teramo - Una stanza, nonostante tutto, calda. Palloncini colorati, alternati di bianco, rosa e nero, infissi sulla parete principale alle tue spalle. La tua foto, splendente. Uno di quei rari scatti che ti piaceva pubblicare anche sui Social. Tu, tanto riservata e poco avvezza a macchinette fotografiche e soprattutto alle telecamere. Una stanza a tratti gremita, in altri momenti, quasi a darti respiro, un pò meno, ma mai sola. Una sorta di processione da parte di chi ti ha amata in vita e che ora, come sovente accade, ti apprezza ancor di più. Occhi lucidi, racconti e aneddoti di chi ti voleva bene e che è arrivato affannato a darti l’ultimo saluto. Per raccontare una persona meravigliosa che purtroppo non c’è più. Purtroppo, sì. Perché a scanso di maldestre ipotesi di finta e ipocrita tristezza, chi aveva il piacere di parlare con te, tornava a casa o chiudeva il telefono col sorriso, steso sulle labbra. Un’ironia pungente e battute pronte, analisi immediata e satirica, per dare sempre una botta al cerchio. Lasciando in un angolo scanzonato la botte. Anzi, tu, eri una "un botta di vita", nonostante ciò che tutti sapevamo cosa covassi dentro.
La realtà è un'altra.
Una stanza chiusa. Ecco cosa mi trovo davanti. Il terrore di aprire perché se è chiusa quella stanza un motivo ci sarà. Guardo negli occhi l’amica che è con me. Non sappiamo cosa fare. Aprire quella porta? Perché è chiusa? Bussiamo. Nessuna risposta. Perché? Non ci vogliono aprire? Ci facciamo ancor più coraggio, cerchiamo qualcuno addetto all’obitorio, ma non c’é nessuno a cui chiedere spiegazioni o motivazioni di quella porta chiusa. Ci rifacciamo coraggio. Tocchiamo la maniglia per aprirla ma, nulla, abbiamo timore. Chiediamo informazioni, scioccamente perché non poteva sapere, ad un signore che era a vegliare la defunta nella stanza di fronte. Ci dice: “Aprite, perché no”. O qualcosa del genere ci ha detto. Uno strazio che ti fa dimenticare anche ciò che hai vissuto e ascoltato. E’ il signore che ci ha viste spaesate che ha il coraggio. Apre la porta.
Una bara chiusa. Un deserto del cuore e dell’anima. Non un fiore, né una candela. Nè un briciolo di presenza. Una bara chiusa, color nocciola chiaro. E a noi non è restato che accarezzarla dolcemente come avremmo fatto sul suo viso.
Patrizia ha scelto: nessun funerale. Nessuno venga a piangermi. Lunedì 8 gennaio, alle 14.30, sarà tumulata e salutata, per chi vorrà, al cimitero di Cartecchio. Qualcuno si chiederà “perché”. Perché? Perché lo ha detto tante volte a chi la conosceva bene e la sentiva quotidianamente. “Non voglio nessuno al mio funerale”. Repulsione verso un mondo teramano fatto di sorrisi e presunta stima. Mai di aiuto ed effettiva ricerca di collaborazione per esaltare concretamente la sua professionalità. Indifferenza fattiva nei confronti di una persona che, ottima professionista peraltro che a differenza di altri non “cercava”, aveva bisogno da un punto di vista morale, professionale, familiare, personale, di essere coinvolta in tante occasioni. E non aggiungo altro. E al diavolo le esternazioni di presunta tristezza di chi avrebbe potuto porgerle una mano, anzi, un dito mignolo, per aiutarla a vivere una vita più dignitosa. Troppo comodo oggi, ricordarla con affetto quando le è stato negato uno stipendio puntuale come ogni lavoratore ha diritto sacrosanto di percepire. L’argomento mi strugge. Perché Patty era e resta una persona speciale. Lo sa solo chi la conosceva bene o chi l’ha capito dopo una chiacchierata di pochi minuti. Bastava poco per capire chi fosse e come fosse. Patty, hai fatto bene così. Così come l’avevi pensata. Avrebbero dovuto pensarti da viva, non da morta.
Serena Suriani