Ho sempre creduto che Pietrino Vanacore non fosse l’assassino, ma che avesse aiutato l’assassino a ripulire e compromettere per sempre la scena del delitto, interpretando nei suoi doveri di portiere del potente palazzo di Via Carlo Poma 2, a Roma, anche la copertura di un efferato omicidio, pur di conservare il proprio posto di lavoro. Poi, da pensionato, trovò la fantasia per suicidarsi affogando in un metro d’acqua appena.
Il 9 marzo 2010, Vanacore, all’epoca settantottenne, si recò nella località marittima di Torre Ovo, in provincia di Taranto, vicino Torricella – luogo d’origine dove era tornato a vivere nel 1995 dopo che fu definitivamente prosciolto dall’accusa di aver ucciso Simonetta Cesaroni, di 21 anni, trovata morta nell’ufficio dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (AIAG) la sera del 7 agosto 1990 –, parcheggiò l’auto, una vecchia Citroën AX, dove lasciò due biglietti, uno sul parabrezza e l’altro sul lunotto posteriore, entrambi con questa scritta in stampatello: “20 ANNI PERSEGUITATI SENZA NESSUNA COLPA.”; poi prese una fune e si avvicinò a un albero in riva al mare. Legò un capo di quella fune a quell’albero e l’altro a una caviglia e si buttò a mare. Così si può affogare anche solo in un metro d’acqua appena.
Il 12 marzo Vanacore avrebbe dovuto tornare a Roma come testimone del nuovo processo in corso sul delitto di Via Poma, che questa volta trovava come imputato dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, dopo vent’anni dal fatto di sangue, Raniero Busco, ex fidanzato della vittima.
Ho sempre creduto anche che Raniero Busco non fosse l’assassino di Simonetta Cesaroni, e che di quei fatti, a differenza di Pietrino Vanacore, non sapesse proprio nulla, perché lui Simonetta se l’era già levata dalla testa, anche se in primo grado la mediocre magistratura italiana ha avuto il coraggio di condannarlo a 24 anni di carcere, salvo poi accorgersi della dolorosissima e costosissima castroneria giudiziaria che si era combinata e proscioglierlo da ogni accusa nei successivi gradi di giudizio, trafila conclusasi solo nel 2014 perché i nostri sempre impuniti magistrati, prima di applicare la legge, norme alle quali dovrebbero sovraintendere, si preoccupano di far valere i propri convincimenti personali.
Pochi giorni fa la vicenda giudiziaria di quell’agosto romano di sangue è stata, pare, definitivamente archiviata senza giustizia alcuna per la vittima e per i parenti della vittima: in questa ennesima occasione mancata al senso di giustizia, la magistratura italiana ha tentato addirittura il superamento del grottesco, vale a dire che ha cercato di verificare gli alibi forniti all’epoca dei fatti dai responsabili dell’ufficio dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù con 33 anni di ritardo, e conseguente decesso del Deus ex machina dell’associazione, l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno.
Simonetta Cesaroni, molto verosimilmente, arrivò in quell’ufficio quella maledetta estate del ‘90 come destinata preda di un molestatore seriale, quelli da ufficio (quel “bastardo” da ufficio), soggetto che sicuramente era da rintracciare all’epoca dei fatti tra gli impiegati e, soprattutto, tra i responsabili dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù; soggetto che tentò di approfittare di Simonetta, della desolata estate romana e della complice omertà di molti, a partire da quella di Pietrino Vanacore, morto suicida in un metro d’acqua appena.
Nel podcast Le ombre di Via Poma, disponibile liberamente su Rai Play Sound, il racconto di Giacomo Galanti tenta, con bravura e lucidità, di riannodare i punti salienti di una vicenda di malagiustizia, o meglio di Magistratura e Malavita, vale a dire di azioni o inazioni che stanno dietro e a lato di un femminicidio che ha segnato per primo l’opinione pubblica italiana (in realtà nel 1953 c’era già stato il caso di Wilma Montesi, di 21 anni pure lei e anche lei di Roma, ad accendere l’animo giustizialista degli italiani, ma allora non c’era ancora la televisione, né pubblica né privata; quindi ci si informava tramite la radio o sui giornali ma allora il grado si alfabetizzazione era molto basso): non esiste il delitto perfetto, ma certamente in Italia esistono inquirenti incompetenti (vale a dire magistrati e agenti di polizia giudiziaria) e, soprattutto, corruttibili e corrotti.
Di Simonetta Cesaroni ci resta quella immagine di lei sulla spiaggia con indosso un costume intero bianco, i capelli ricci, corvini, e il volto fiero e pulito verso il sole e l’obiettivo della macchinetta fotografica, che la cattura dentro la Storia di questo paese senza giustizia, quindi senza né stato né diritto.
MASSIMO RIDOLFI