«Per uscire dalla nostra epoca tornavamo al passato del nostro vento dorato, camminavamo verso la stagione della nostra saggezza, e i canti della nostalgia erano iracheni. L'Iraq, un palmeto e due fiumi...»
Mahmoud Darwish, Undici pianeti - a un poeta iracheno
Quando Ahmed Ramadan mi scrisse per invitarmi a leggere il suo poema dal titolo Feno Meno Logia (poesie dal 2018 al 2022) – tradotto in italiano dalla poetessa e traduttrice Stefania Maria Miola e pubblicato a cura di Massimo Ridolfi col titolo Il Medico di Ninive, Letterature Indipendenti, Teramo, 2023 – poco prima di Natale, il mondo era già nel caos di una nuova drammatica guerra in Medioriente.
Ahmed Mohamed Ramadan è nato in Iraq alla fine di un'altra guerra terribile, quella comunemente chiamata Guerra del Golfo e non oso immaginare quale possa essere stata la sua infanzia e la sua giovinezza costellata successivamente da altri conflitti, non ultimo, quello civile, dolorosissimo, iniziato nel 2013 e durato quasi cinque anni. Posso avere solo una vaga idea di come un ragazzo possa affrontare l'orrore della guerra, sopravvivere e restare umano. Ahmed probabilmente ha scelto la poesia per salvarsi. Perché Ahmed è un poeta, ma anche un medico. E forse le due cose in fondo si appartengono: non erano forse medici e guaritori i primi poeti agli albori dell'umanità? Ahmed è un poeta legato fortemente alla sua terra e alle sue tradizioni letterarie e spirituali millenarie. L'Iraq, culla di una delle civiltà più antiche del pianeta, quella sumera, e culla anche della prima forma conosciuta di scrittura, quella cuneiforme.
Ed è qui, in questa terra assolata e fertile, terra di profeti e beduini che visse Enheduanna, la prima poetessa della storia, figlia di Sargon di Akkad e sacerdotessa della Dea Inanna ad Ur. Sono suoi questi versi visionari:
«Le tenebre si approssimano alla luce del giorno,
intorno a me si fa buio.
Le tenebre si approssimano alla luce del giorno
e lo ricoprono con tempesta di sabbia.
La mia tenera bocca di miele d’improvviso si confonde.
Polvere è il mio bel volto.»
[Enehduanna, Inno a Inanna, IX]
Ed è proprio a lei che è andato il mio pensiero leggendo i testi di Ahmed Ramadan. A lei ma anche a certi passi dell'antico Testamento e del Corano, ai meravigliosi poemi dei sufi, a Rumi. Questi richiami, queste assonanze, dimostrano lo strato profondo da cui sono tratte le immagini evocate dal poeta.
Ahmed, a differenza di altri poeti iracheni che hanno scelto la militanza politica o la ricerca di una voce strettamente legata alla realtà attuale, è un poeta mistico e i suoi versi somigliano a visioni profetiche senza tempo. Ahmed è un poeta/profeta e il suo poema dedicato proprio al "tempo" è un susseguirsi di immagini simboliche e oniriche, in cui sprazzi di realtà si mischiano a simbolismi antichi quanto l'uomo stesso.
Mosul, l'antica Ninive, la città dove è nato e dove vive, quella città ferita e rinata mille volte sulla sponda del fiume Tigri, gli offre i suoni e i colori da cui partire.
«L'uomo porta il silenzio del linguaggio..
e il dissidente con una macchia di neve benedetta..
un pianeta che cresce nelle cavità..
tra le radici e il ponte dell'eterno musicista..
un verso dissenziente dall'orizzonte del vuoto..
E la testimonianza dell'invisibile..
un fiore che sboccia dall'acqua dell'attesa.. il filo del crepuscolo..
L'ora della resurrezione..
creato dal non sentito amore..
e la brezza che vortica..»
È un poema che somiglia a una preghiera, a un salmo in cui i primi versi vengono ripetuti quasi ossessivamente per dare il senso della nenia, della liturgia. Le visioni che ci trasmette rievocano a tratti il passato drammatico e doloroso, il tempo vissuto come memoria, ma ci ricordano che dalle tenebre la vita può rinascere, che la “musica è plasmata dal vuoto” e che il tempo scorre incessante trasportando con sé ogni cosa. Ogni passaggio che compone questo poema restituisce una spiritualità che travalica i confini, che appartiene a ogni uomo in quanto creatura di Dio.
«La parola del Dio che ride negli occhi... e una brezza esuberante sulla punta delle dita...»
E ancora:
«Una palma con cinque carichi dal margine della ferita annuisce.. dal volontario discorso.. dalle rocce..
Colui che passa dalle increspature al fiume.. e colui che viene assassinato da vecchie visioni.. sotto le cascate..
Colui che scende come una mezzaluna la cui notte è cambiata.. e il suo mantello orientale è strappato.. l'eternità dell'anima sorge..»
È un linguaggio misterico quello di Ahmed, simile alle visioni delle pizie e dei profeti, un linguaggio che comunica unicamente attraverso le immagini, lontano da nessi logici o da un percorso consequenziale e narrativo. È un tempo che procede per apparizioni. A noi l'onere della decodifica, il responso, le risposte… come nella vita.
«Tempo per l'interpretazione del saccheggiatore della vita..
oh straniero oh invisibile.. e io vi riunisco..
Ombre.. per piangere colui che ha falciato una vita per un'era di costruzioni che corrode i polmoni del mondo..»
ILARIA GIOVINAZZO