Ciò che precede l’uomo è il suo proprio corpo. Con questa macchina dataci in dotazione dal Creatore affrontiamo tutto il visibile del vivere. Ma dentro? Nel Didentro nasce invero il nostro mondo; nel Didentro si fabbricano gli strumenti interpretativi che ci aiutano a conoscere e superare questa nostra esistenza apparente, del corpo appunto.
Di questa consapevolezza sono nutriti i versi di Riccardo Carli Ballola. E sono versi di allenamento alla vita. È un comporre fluido e tensivo quello del poeta utile a semplificare e lubrificare la meccanica del vivere: “Parlo di me che parlo / e di me che ascolto ciò che dico / per sbarazzarmi di quel che non serve / a sentirmi a posto nel corpo”. Ballola da subito ci accoglie in questo suo libro con una precisa dichiarazione di poetica che serve la sua vita donandogli equilibrio. È quindi in questo libro testimoniato il progetto sempre nuovo di liberare il corpo dalla parola, affinché il corpo sia in grado di agile movimento e non inciampi sugli ostacoli concreti della corsa quotidiana del vivere, usuale, solita. Quindi il poeta di Comacchio compone il suo manuale d’uso per passare agili nel mondo. Strumento utile alla conservazione di noi stessi: in questo libro vi è celata una grande lezione, che è quella di saper vivere dentro e oltre il dolore.
Quindi immaginiamo in questo libro un corpo (il poeta) che si ferma e si posa a guardare con senso di neutralità ciò che gli accade intorno, che ci racconta con leggerezza del pensiero che lo abita: non esprime giudizi, non si spinge oltre la descrizione di quello che gli occhi gli riportano alla mente. Di tutto questo suo fare silenzio ci lascia parole, che rappresentano uno degli esiti intellegibili del pensiero.
Ma questo libro apre anche lo scenario di un antico duello, quello con la solitudine, che si sconfigge solo con la giusta compagnia: questa silloge è il riportato dialogo (parole e corpo) tra mente e uomo, tra l’uomo e la mente. E nella lettura ci si trova innanzi a una drammaturgia, perché sembra di vederli questi due antichi duellanti: uno, l’uomo, che si accontenta di vivere e l’altra, la mente, che si sforza di esistere: “Gliene parlo spesso, / abbiamo un confronto stringente, / condivide quando vuole, più spesso dissente, / io non me ne faccio un cruccio / perché al momento giusto lui assente.” Duellanti dunque che a un certo punto trovano l’equilibrio del convivere.
Queste pagine, però, sia chiaro, non contengono la banale verbalizzazione di una confessione sospesa tra vita contemplativa e vita attiva, che sta nella loro apparente prosa: “Racconto uno stato d’animo / che ogni giorno si piega appena, / sale o scende adagio, / variando similmente a fianco dell’umore”, bensì riportano alla luce, dallo scavo profondo che è della poesia, un riscontro esatto di quei fatti minimi che ci riguardano tutti, che ci vede tutti attori protagonisti della ripartita Commedia Umana. E questo finito lavorio ci trasporta tutti sopra le assi della vita a recuperare il disperso: “Non pensava / di avere delle cose importanti da raccontarmi: / della guerra, della prigionia, dell’Argentina / e delle promesse d’amore del tempo in cui portava i baffi, / della ragione dei suoi silenzi.” per ritrovare tutti i nostri padri.
Quindi queste Confidenze sull’uso di sé – ben tenute dai tiranti di una sintassi che lega il senso dell’intera opera, che non si arrendono facilmente a una lettura a voce perché conchiuse nella intima profondità di una adorabile ferocia – ricercano non semplicemente un lettore ma la compagnia di un lettore, offrendo in cambio versi sciolti verso la raffinata semplicità del giorno, e della notte, come riesce solo il fare di un grande poeta.
MASSIMO RIDOLFI1
1. estratto integrale dalla prefazione a Confidenze sull'uso di sé di Riccardo Carli Ballola, Leonida, 2024, pp. 5-7.