POESIA: PROFUMO DI LIQUIRIZIA
«Ho rivisto tutta la fine che mi porto addosso,
spiagge erose, occhi pieni di plastica e stanchezza,
fermezza infame di palude e mani unite di pigrizia.»
Pietro Edoardo Mallegni
È una poesia di elementi quella di Pietro Edoardo Mallegni, dove l’esperienza si riproduce dentro gli stretti e saldati anelli di una catena che stringe e chiude “questo impegnarsi a vivere” (p. 16) che accomuna l’uomo all’uomo, che “mai si attaccarono a qualcosa, / che non fosse nato.” (p. 25), dove “il mondo raccoglie pezzi, / per” ricostruirci “altrove.” (p. 29) e lontani perché “si sono travestiti di orrore: / padri, madri e preti.” (p. 30) dentro un “nero limare di incontri.” (p. 34).
Ma succede alla metà esatta del libro (da p. 36, indicativamente), di questo particolare Profumo di liquirizia, che la presenza di fatti persone e cose si intensifica nell’elencazione battente dei versi e si fa esperienza e mestiere di vivere accanto al lavorare dell’uomo, che tramuta in una fantastica ricetta che promette odori e sapori di una cucina che rivive il sacrificio di ogni ingrediente: il cuoco, come il poeta, è pratico di vivi e di morti. E Mallegni per vivere cucina. E la cucina è arte come la poesia, che invece arde le parole. E la poesia è un fatto concreto, come la cucina, ci conferma questa silloge. Come quanto accade in un “verde / cimitero [...] dove / anziane spose vengono a raccogliere / borragini e raperonzoli.” (p. 37). È in queste cinque, sei pagine centrali che l’opera raggiunge la sua giusta temperatura.
E dentro questo suo dettato (quindi questa sua catena di elementi del vivere, si è detto) c’è un incubo che sogna di sciogliersi finalmente alla vita, alla misura sempre variabile dell’uomo. Guadagnare dalla vita plasticità, utile a stare dove capita l’incontro con l’altro, sempre contendente del fiato, di quel quadrato di spazio che vorremmo nostro e di nessun altro, come il respiro che ci attende attimo sopra attimo.
È dentro questo esistere che il giovane poeta di Carrara cerca il suo spazio che non sia fastidioso da abitare. E questi suoi versi; questi suoi testi ordinati non sono altro che un resoconto in presa diretta del procedere di questa sua ricerca, quindi di un cammino misurato e attento nel tempo e nello spazio. E tutto a scongiurare questo “Umano peggiorare” di cui non sia preda un “novizio alla vita” (p. 70 e quarta di copertina).
Siamo quindi qui a leggere dei versi che sperano profondamente Salvezza.
MASSIMO RIDOLFI