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POESIA: TURISTI NELLA LUCE

Cultura  | 20 December 2023

«No, nessun filtro: troppo era l’amore
per entrare in un misero bicchiere – 
uomo e donna, ecco tutto, uomo e donna,
la mistura più magica di sempre
UMBERTO SIMONE (1949-2023)


Non ho avuto il privilegio di conoscere personalmente Umberto Simone, ma ho fatto in tempo a riconoscerlo come Poeta nella sua terminale opera, strappata in tutto e per tutto alla sua malattia, salva – del resto il compito che cerco di assolvere non è di incontrare i poeti ma i loro testi e di ritrasmetterli per quello che è stata la mia personale esperienza di lettura, cioè assolvere al dovere della critica onorevolmente.

Di questo riconoscimento devo essere grato ad Antonio Alleva che mi segnalò l’opera di Simone e le vicissitudini di questo suo ultimo libro, che Antonio difendeva con tutto se stesso, come fosse il suo, e questo testimonia precisamente la caratura intellettuale di questo altro poeta e ambasciatore della poesia.

Antonio non mi disse del male che affliggeva Simone, convinto di avermelo detto. Quando mi informò della sua morte, rimasi di stucco. Il mio piccolo contributo era già pronto da tempo, e si aspettava si risolvessero le improvvise questioni editoriali che avevano fermato la pubblicazione del libro, che era prevista per luglio di quest’anno: anche questa fu una notizia, seppur minima rispetto a quella che mi annunciò l’improvvisa (per me) dipartita del poeta, che mi infastidì molto, tanto che predicai con Antonio al telefono nel nostro dialetto (che qui censuro), mentre mi stavo recando a Perugia per un fine settimana di villeggiatura libero da penne e tastiere da passare accanto al Perugino – era di giugno e ogni cosa era già pronta e programmata per dare in anteprima notizia attraverso i miei canali del ritorno alle stampe di questo appartato poeta vero.

Essere per la poesia. Difendere il proprio lavoro e quello altrui. […] Io amo la poesia e, quindi, scrivo quella che non trovo. Quella che trovo me la leggo, la amo, la difendo, la diffondo.” Ho sempre in mente queste parole di Francesco Scarabicchi, di cui idealmente ho raccolto insegnamento e testimone per continuare a modo mio la corsa che anima la mia naturale vicinanza ai poeti, non certo alla Poesia, che non ha neanche bisogno dei poeti, che si salverà da sola. Allora, in luglio, alla dipartita di Simone, con Antonio si decise di liberare immediatamente i miei contributi già pronti in sua memoria, omettendo per il momento l’editore, fintanto che si risolvessero le cose extraletterarie, promettendo di tornare a occuparmi dell’opera di Umberto Simone a libro fatto, cosa che non era per nulla scontata.

Ed ecco arriviamo concretamente all’opera, vale a dire alla sua stampa e distribuzione; arriviamo a questi finali, finalmente disponibili e instancabili Turisti nella luce (Puntoacapo 2023) che vincono, resistono e deridono qualsiasi Morte.

Intanto diciamo che questa pubblicazione rappresenta un concreto esempio di buona editoria, che è quel fare che porta a cercare e trovare il libro che non c’era e che rischiava andasse perduto per sempre. Questa è una storia d’altri tempi, che a saperla ora sembrerebbe fantascienza che tra editori ci si contendi il libro di un poeta semisconosciuto, che proprio non aveva di che spartire con il sempre più brutto ma premiato mondo delle lettere italiane.

Di Simone si conoscono alla luce pubblica solo altre due sillogi: L’Isola delle voci (E-et Ci 2001) e Il sacco del curdo (Il Ponte del Sale 2008), fatto che lo rende ancora più prezioso perché di rare pubblicazioni. Già i titoli di questi tre libri denunciano la passione del viaggiatore che animava il suo autore, andare che inevitabilmente ritroveremo nei sui testi, esperienze finite a cristallizzarsi nelle alchimie delle sue poesie.

Turisti nella luce si apre con una maestosa poesia, Il mio nome è Legione, che rimodula le moltitudini di Walt Whitman e si fa dichiarazione di poetica votando ogni possibile dire al canto di tutto quello che siamo stati prefigurando il futuro che saremo, pescando (per dirla con Gregory Corso) in quel flusso di repertorio che ci ha, anche inconsapevolmente, formati come popolo, nazione degli uomini, dove “ogni lingua muore dalla voglia / di farmisi canzone.”

Ecco, il primo dato, che da subito l’autore ci fornisce per poter leggere questa sua opera: è quello di prepararsi al canto, che la sua particolare partitura ritmico-metrica (versi lunghi, ipermetrici, con dolci spezzature, inarcature, enjambement: particolari la reiterazione ad arricchire il senso del verso nel testo e il suo sgranare l’ultima strofe in alcuni componimenti più lunghi, dove separa i versi come a lasciare in sospensione, in ri-mando, una coda musicale che ci accompagni alla lettura successiva, come accade, a titolo di esempio, ne La visione del taglialegna e in Un Rembrandt appeso alla rovescia) rende naturalmente leggibile e sonoro. Trascina il modo di scrittura di Umberto Simone alla lettura cantata; cantata come una antica nuova preghiera.

Il poeta lavora, ma con levità, a intarsio i suoi testi, che riempie di simboli mitici sacri e storici, ma anche di oggetti lettere in memoria e cose della flora e della fauna e il loro scartato, e il tutto incastrato con la dote naturale di tramutarli in un linguaggio contemporaneo, che non tartaglia ma mantiene la fluidità di un dire corrente e discorsivo perché finemente colte, eleganti, sono le sue poesie; è una lingua intelligente quella di Simone, che nel luogo calmo del suo comporre ha saputo prendere, nutrirsi e crescere da tutto quello che ci ha preceduto e superato, senza mai guastare nell’inceppo scolastico, pedante, professorale.

Quindi siamo di fronte a una lettura ricchissima ma scorrevolissima, barocca che però non trova nessuna necessità nell’utilizzo dell’oro, ed è questo il vero preziosissimo talento di questo poeta, e ciò lo rende importante, notabile, non più trascurabile all’interno della tradizione lirica italiana: Simone è un classico perché sempre moderno, qui e ora (hic et nunc), e ben salvo dallo stucchevole neoclassicismo.

Tutto questo è possibile al poeta perché nel suo operare, come ogni sua parola messa per iscritto, l’esperienza precede sempre la conoscenza. E basta leggerlo per ritrovarsi partecipi, rapiti, nella sua propria Lezione: “[...] non sanno che l’opposto di poesia / non è la prosa ma la vanità, / tristi solisti dell’identità, vati in galosce.” Poeta è colui che si fa testimone di una poesia fatta tutta in cammino e senza alcuna possibilità di protezione, che avanza scoperto, coraggioso perché vulnerabile, verso un inesauribile altrove.

È un filo che si tenta di riannodare quando ci si mette a scrivere in versi. Ed è un filo tanto sottile quanto resistente. Ci vuole un buon filo per tenere insieme una poesia vera. E questo è il filo che annoda le poesie di Umberto Simone. Un filo particolarmente pregiato e raro. Filato ottenuto solo grazie a una attenta ricerca del sentire dell’intorno del bravo viaggiatore. Filo capace, nel presente, di tenere nella stessa trama passato e futuro. Così troviamo fatto un tessuto nelle poesie di Simone che ci dona la conoscenza che passato e futuro sono la medesima cosa, momenti che hanno una nominazione divergente solo per illuderci dell’esistenza del tempo.

MASSIMO RIDOLFI  

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