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POESIA: VINCOLO TESTUALE

Cultura  | 17 May 2023

«di negazione in negazione
le parole sono marcite nella mia bocca»
Donato Di Poce

 

Questo è un libro che non troverete tra i selezionati al Premio Strega Poesia perché il suo autore non fa parte di quella "compagnia di giro", quella dei pensierini mandati accapo un po' come ci si sente: qualche giorno fa Alessandro Fo mi chiedeva in un post: "Accapo? Ecche è?" al quale rispondevo: "Un U.F.O., evidentemente." Questo perché commentavo così: "Ma perché va accapo, quando non ce n'è proprio alcun bisogno, eh, perché? Perché andate accapo?!" una pubblicazione di Silvia Bre, e, nello specifico, un paio di suoi testi mandati accapo senza alcun senso ritmico che giustificasse la siffatta spezzatura del verso – e basta leggerli quei due testi caro Fo per capirlo, perché la poesia si misura con l'orecchio e si verifica con il corpo, ed è lì che casca sempre l'asino, tra orecchio e corpo, nell'accapo, nel ritmo mancato così maldestramente segnato, quando ogni forma è legittima ma è solo e da sempre il passo interno dell'autore che fa il poeta e la sua poesia, non altro; tutto ciò determina di conseguenza un Vincolo testuale, di precisa partitura musicale, concetto mancato da gran parte della nostrana poesia contemporanea, cannando tali testi il concetto di musica in poesia, cioè del suono preciso della parola che la voce riporta dal testo – se è nel testo – all'orecchio e dall'orecchio al corpo, in buona sostanza tutto il contrario di quello che la "compagnia di giro" celebra, autocelebrandosi nel vuoto che perfettamente li distingue, pretendendo così la determinazione di un canone: il canone – si sappia e si dica chiaro – della nuova sciatteria poetica italiana, sospesa tra cronaca spicciola (vedasi Gilda Policastro) e piccolissimi recitati fatti propri (vedasi qui Aldo Nove, al quale verrà assegnato l'inutile Premio Strega Poesia) –; ma del resto Fo, come la Bre, fa parte del catalogo detto "la bianca" dove Einaudi colloca la poesia, che, grazie alla "compagnia di giro", si è tramutata presto nella peggiore scelta di poesia italiana contemporanea, che salva la sua dignità solo grazie al recupero in extremis di Francesco Scarabicchi, se si volesse trattare di poesia, ma qui oramai ci si è ridotti al pensierino mandato deliberatamente in verticale di questa ri(s)ma finta, faticosa, defaticata. Insomma, questi della "compagnia di giro" non sono proprio in grado di rispondere a questo mio quesito perché loro vanno evidentemente accapo a sentimento, difatti, come direbbe Edoardo Sanguineti – un poeta Vero – loro credono di essere poeti ed è per questo che scrivono poesie.

Ecco, la poesia, torniamo a dire di poesia salvi, bene a distanza da certe "compagnie di giro".

Allora ecco la nuova silloge di Donato Di Poce, Maestro del poemetto, che colleziona ora insieme a componimenti brevi in questo suo Vincolo testuale (Eretica 2023), una titolazione che rappresenta già una Lezione. Invero trattasi della riedizione della sua opera prima (Lietocolle 1998), ma non si sbaglia mai a dire nuovo un libro di poesia perché è sempre nuova la poesia quando è tale: è immancabilmente un fare contemporaneo all'uomo, un uomo che il poeta indaga e scopre uguale all'uomo di sempre, che evolve tecnologicamente ma senza mai raggiungere una maturità sentimentale che lo salvi davvero.

Difatti il libro si apre con una dedica che racchiude in sé una dichiarazione politica – la poesia è sempre d'amore e quindi atto civile e azione politica –: "A Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi,
Insuperati maestri di vita e di poesia." E sicuramente è in questi numi tutelari che il verso di Di Poce prende una ragione propria, un farsi suo nel corpo civile che abita attento. Allora a postfazione di questo volume troviamo una nota di Roberto Roversi, che di questo libro dice: "La raccolta dei testi [...] si srotola in una riflessione costante (non assillante) che sembra quasi proseguire anche fuori dalle pagine, rovesciandosi senza intermittenze sulla spalla, sulle spalle del lettore." Certo questa è una lettura che accompagna, che affila i nostri pensieri dentro e oltre l'esercizio del leggerli. Esercizio. Sì, la lettura è esercizio che allena il pensiero. Questo libro allena i nostri pensieri. Poi in prefazione troviamo Gianni D'Elia, il primo a offrire ascolto ai suoi versi e altro punto di fruttifero confronto del Di Poce, che vi registra: "La vita interiore in lotta con la vita di relazione, che ci costringe a restare nella realtà, sia pure con la violenza della sua emozione."

In questa edizione si conservano entrambi gli interventi, ma non le illustrazioni dell’artista giapponese Oki Izumi – Di Poce è anche attento critico d'arte (RINASCIMENTO: La danza delle idee, 2022) e artista figurativo lui stesso, onorando un connubio che trova inizio nel Secolo scorso e oggi quasi perduto, sulla via dell'irreparabile divorzio intellettuale, matrimonio d’arti importato in Italia da Parigi da Giuseppe Ungaretti. Il libro è bipartito e, come già detto, alterna poemetti a singoli componimenti di breve durata, dove spesso rincorrono in epigrafe formule dedicatorie che testimoniano come l'autore sia dentro un ricercato dialogo altro, della metafisica, ideale, con chi lo ha preceduto e insegnato, cioè con i Maestri hai quali il poeta attribuisce di avergli dato l'indicazione di una direzione possibile.

Ma è urgente rilevare, più che i fatti formali, come questa opera torni a condurci alla caccia dell'uomo nelle pagine in versi di Donato Di Poce, che salva dalla caducità dei cataloghi editoriali queste poesie, salvando allo stesso tempo la nostra stessa conoscenza di noi stessi.

MASSIMO RIDOLFI  

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