L’Aquila - Colpa anche delle vittime. Già, è così. Avrebbero dovuto lasciare l'edificio. A 13 anni dal terremoto che ha devastato L'Aquila una sentenza riscrive quella notte maledetta. E lo sdegno dell’Abruzzo rimbalza a partire dalla gente comune, attraverso i Social. Si attribuisce infatti anche alle vittime un concorso di colpa. In altre parole: colpevoli civilmente di essere morti sotto le macerie di un palazzo che costò la vita a 29 persone, molte delle quali giovanissime.Il Tribunale civile dell'Aquila, giudice Monica Croci, ha accolto la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari di una parte delle vittime per il crollo dell'immobile di via Campo di Fossa: un palazzo di sei piani che non resse all'onda d'urto delle 3,32 del 6 aprile del 2009. Il giudice ha condannato al risarcimento civile gli eredi del costruttore e due ministeri citati in giudizio, Interno e Infrastrutture. Il danno che i primi dovranno risarcire è stato quantificato dal giudice nel 40% della somma totale; ai due ministeri invece toccherà il 15 per cento ciascuno per il comportamento omissivo dii di Genio Civile e Prefettura. E qui arriva il colpo terribile ai parenti delle vittime: il 30% di colpa, secondo il tribunale, ricade su chi è morto sotto quelle macerie.
In sintesi:è una colpa, per le vittime sotto le macerie del crollo, non essere usciti di casa dopo due scosse di terremoto molto forti che seguivano uno sciame sismico che durava da mesi: è un passaggio della sentenza in sede civile del Tribunale dell'Aquila riferita al crollo di uno stabile in centro del capoluogo abruzzese nel sisma del 6 aprile 2009 in cui morirono 24 persone sulle 309 complessive. A darne notizia sono i quotidiani 'Il Centro' e l'edizione abruzzese de 'Il Messaggero'.
La Casa del Popolo di Teramo prende posizione: ”E' fondata l'eccezione di concorso di colpa delle vittime - si legge a pagina 16 della sentenza firmata dal giudice Monica Croci del Tribunale civile dell'Aquila in composizione monocratica -, costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile. Concorso che può stimarsi nel 30 per cento”. La nostra reazione immediata è stata di sbigottimento: ma come? In quel periodo sismico pre 6 aprile 2009 era una gara istituzionale a tranquillizzare la popolazione aquilana, autoctona e universitaria, e ora ci dite che è colpa nostra che siamo rimasti dentro le case?
Ragionandoci sopra poi abbiamo capito un paio di cose:
1) Fabrizio De Andrè aveva colto bene l'essenza stessa della magistratura, dei giudici. "Arbitro in terra del bene e del male", assiso su sul suo scranno al di sopra dell'umana stirpe, egli dispensa veritá. Egli conosce la veritá, infallibile e implacabile. La veritá ex-post, a cosa fatte.
Magari la prossima volta ditecelo prima che avete permesso la costruzione di case di merda che ci crolleranno addosso, cosí scappiamo, grazie Sua Eccellenza.
2) Uno stato che preferisce perdere coscientemente la sua dignità, perchè lo sanno al tribunale dell'Aquila che una sentenza simile è indegna, lo sanno, per risparmiare il 30% dei risarcimenti, è uno stato ridicolo, piccolissimo, scollato dalle donne e dagli uomini che lo compongono e non alla loro altezza.
È facile rifarsi su chi ha perso casa e affetti, piú difficile far pagare i costruttori, padroni, ricchi, che su sfruttamento e speculazione costruiscono le loro fortune e foraggiano chi di questo stato minuscolo e indegno gestisce i tre poteri”.