Purtroppo Rocco Scotellaro ci ha lasciato un’opera tutta postuma. Carte orfane, che avrebbero tutte necessitato di ulteriore cura, di crescere e migliorarsi. Ma molto resta di questo straordinario poeta, comprese ingenuità e refusi. Carlo Levi si preoccupò, dal dimenticatoio (per citare un altro grande lucano, Leonardo Sinisgalli, che gli era Maestro a Rocco, direbbero dalle sue parti), di salvare di lui tutto il rimasto da questa parte. Testi di una vita passata tutta accanto ai Contadini del Sud, famiglie schiavizzate dal latifondo, rinchiuse in troppi in una stanza sola, tutte intorno alla stessa pentolaccia, tutte strette, cristiani e bestie, dentro lo stesso gelo.
Un tempo non era insolito trovare foto del poeta nelle case dei contadini lucani, adorato sulle mensole dei camini come un santo. Chissà, forse ancora oggi nelle case contadine di Lucania, sopravvissute al latifondo, alla riforma agraria del '50 – che da subito lo stesso Scotellaro si accorse insufficiente, che troppo pochi erano gli ettari affidati al mezzadro persino per campare la famiglia – e al petrolio, resiste, ingiallito o sbiadito, il ritratto fotografico del poeta.
Assordante e ancora tragico risuona il suo pesante urlo contro la sempre più derelitta magistratura italiana che lo incarcerò ingiustamente, ora come allora: “Un giudice che non si spiega le cose e deve seguire il carro del potere, è lo scrivano del carabiniere semianalfabeta, è uno schiavo principe o no che può gustare soltanto il cibo che gli portano.”1
Ancora oggi pochi conoscono la sua opera, a cento anni dalla nascita, e a settanta dalla sua improvvisa morte.
Franco Arminio in questo suo breve podcast, che prende il titolo da una magnifica breve e potente lirica del poeta di Tricarico, La mia bella patria (1949), sa ridurci e dirci la sua vita e la sua opera – non userei solo il sostantivo utopia in riferimento a Rocco Scotellaro perché lui certamente non si fermava alla chiara stupidità della parola scritta e basta come quasi la totalità dei poeti italiani, di qualsiasi caratura essi siano, ma ha praticato la parola, addirittura quella del socialismo, e senza fare vittime, e senza limitare la libertà di nessuno quando invece la sua libertà di fare il bene fu imprigionata ingiustamente.
Con Rocco Scotellaro davvero si è avuta la transustanziazione della poesia in Azione Politica, con buona pace del labor limae.
MASSIMO RIDOLFI
da L’uva puttanella, Laterza, 2012, p. 83.