Teramo - Celeste è entusiasta di concludere la terza stagione di LAVAPIU con un lavoro site-specific dell’artista britannico Jonathan Monk. Attivo dai primi anni ‘90, Monk sviluppa la sua ricerca a partire dalla rinuncia del mito dell’originalità nella creazione artistica. La sua pratica si caratterizza per il recupero e la risignificazione di alcune delle opere seminali del Minimalismo e dell’arte Concettuale degli anni ‘60 e ‘70, con un approccio sempre “dolce, ironico e poetico” (K. Johnson, 2002). Distante da tentazioni iconoclaste, Monk trae dalle istanze concettuali - solitamente considerate espressione di un’arte autoreferenziale, intellettualistica e noiosa - gli strumenti epistemologici per posizionarsi tanto nel mondo dell’arte quanto in quello della vita. In particolare, nei lavori ispirati alla propria storia personale, l’artista restituisce una dimensione nostalgica e sentimentale, pur restando all’interno di precise strutture linguistiche. Da anni Jonathan Monk ci ripete che se è così difficile essere unici e originali, allora forse è più saggio rinunciare a questa idea, o stravolgerla completamente.
Nell’opera presentata a LAVAPIU, intitolata Washing Louise, Jeff and Peter, Monk torna a rievocare alcune vecchie conoscenze. I nomi presenti nel titolo dell’opera si riferiscono all3 artist3 Louise Lawler, Jeff Koons e Peter Halley, figure chiave dell’arte americana neoconcettuale del secondo dopoguerra. La vetrofania realizzata dall’artista per Celeste raffigura una fotografia - o piuttosto un render - di forma quadrata, ripetuta più volte su un fondo bianco e deformata da un vortice centrifugo che ne altera le forme. A prima vista le immagini potrebbero ricordare uno dei lavori di Lawer appartenenti alla serie “adjusted to fit” (ovvero adattata per adattarsi), in cui fotografie di installazioni di mostre di arte contemporanea vengono deformate e distorte per inserirsi in nuovi contesti. In questo caso, le opere raffigurate alla “Lawer-maniera” sono un coniglietto specchiante di Jeff Koons davanti a un dipinto di Peter Halley. Ad azionare la rotazione centrifuga di un pezzo ormai sacro di arte americana, secondo quanto suggerito dal titolo dell’opera, sarebbe il cestello della lavatrice. Eppure, ci piace pensare anche a un’altra possibilità, ovvero che ad agitare quelle colorate figurine bidimensionali sia la stessa aria che Monk aveva fatto fuoriuscire qualche anno fa dalle sue “deflated scultures”, gli iconici coniglietti di Koons che l’artista inglese faceva sgonfiare e collassare su loro stessi.
CELESTE LAVAPIU La mostra fa parte della terza stagione espositiva LAVAPIU, ospitata nell'omonima
lavanderia a gettoni del quartiere Gammarana a Teramo, intitolata La Cura.
Jonathan Monk (1969, Leicester) artista concettuale di lungo corso, vive e lavora a Berlino. Inizia la sua carriera espositiva nel 1992 in Inghilterra. Da allora, il suo lavoro è stato esposto in tutto il mondo. Le sue opere sono parte di prestigiose collezioni pubbliche, come la Tate Britain di Londra, il Guggenheim Museum e il MOMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi, la Collezione Pinault, il MART di Rovereto, e molte altre. In Italia è rappresentato dalla Galleria Massimo Minini (Brescia).
Celeste è un progetto curatoriale post-pandemico e pro-apocalittico avviato nel 2021 dallɜ artistɜ Alessandro Di Massimo e Claudia Petraroli, arricchito dal 2023 dall’ingresso di Andrea Marinucci. Celeste nasce dal desiderio di portare i linguaggi dell’arte contemporanea in luoghi periferici, precari, lontani dai grandi centri. Fin dagli esordi, si orienta per modalità sostenibili di esposizione,utilizzando un format riproducibile, attento alla circolarità delle risorse.
La Cura è la terza stagione espositiva realizzata nella lavanderia a gettoni LAVAPIU nel quartiere Gammarana, a Teramo. Nel suo libro Filosofia della cura (Timeo, 2023) Boris Groys scrive che il lavoro di cura è di per sé improduttivo, in quanto non avviene una volta per tutte, non garantisce un mantenimento definitivo del suo scopo, non può evitare il deperimento e la morte. Dev’essere ripetuto cioè costantemente e quotidianamente: è perciò un processo che “resta sempre incompiuto, e per tanto non può che essere profondamente frustrante”. Si tratta di una condizione universale che interessa tutti gli individui, in quanto nessuno può prescindere dalla cura di sé. La dimensione di frustrazione, insita nel lavoro sisifeo della cura, non scompare del tutto nemmeno quando ad essere messo al centro è ciò che davvero ci sta cuore: ed è in questa polarità oscura e imprescindibile, all’interno di un processo di nutrimento e messa in valore, che si posiziona la terza stagione di LAVAPIU.